Convocazione consiglio comunale Martedì 26 Aprile 2016

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Il Consiglio Comunale è convocato per il giorno di Martedì 26 Aprile  2016 alle ore 19.00 in seduta straordinaria pubblica di prima convocazione nella sala della sede municipale con il seguente ordine del giorno:

1.  Approvazione verbali seduta del 22 dicembre 2015 (dal n. 33 al n. 36);

2.  Approvazione verbale seduta del 12 febbraio 2016 (n. 1);

3.  Progetto della conferenza dei sindaci dell ULSS n. 7 denominato  “Fondazione di
Comunità della Sinistra Piave per la qualità della vita Onlus”.
Conferma adesione al percorso proposto e presa atto favorevole piano d’azione
2015/2018;

4.  Destinazione contributo per le opere di culto. Approvazione programma per l’anno
2016;

5. Determinazione aliquote e detrazioni per l’applicazione dell’imposta municipale propria
“IMU” per l’anno 2016;

6. Determinazione aliquote e detrazioni per l’applicazione del tributo per i servizi indivisibili
(TASI) per l’anno 2016;

7.  Approvazione del programma triennale delle opere pubbliche 2016-2018 e dell’elenco annuale dei lavori pubblici 2016;

8. Documento unico di programmazione 2016-2018 – Aggiornamento;

9. Approvazione del bilancio di previsione 2016/2018;

10. Varianti verdi L.R. n. 4 del 13.03.2015 – Adozione;

11. Recesso unilaterale dalla convenzione per la gestione della segreteria comunale trai i comuni di Tarzo, Orsago e Gaiarine.

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Le voci dell’inchiesta – Make food not waste

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68c91914b6364289b205a846e8b216fa“Make food, not waste”: a tavola con lo spreco
Quando vivevo a Parigi, io e la mia amica Anna andavamo spesso a Belleville a prendere il pane avanzato per poi mangiarcelo con il formaggio. Non ricordo più il nome del panettiere, ma l’appuntamento del venerdì era immancabile: alle dieci di sera, Anna caricava sulla sua bicicletta una busta piena di baguettes. Bastava sedersi in un posto qualsiasi, chiamare qualche altro amico per dar fondo al sacchetto e la cena era pronta. Spendevamo al massimo qualche euro per il Camembert. In realtà, se pensiamo alla quantità di scarto prodotto oggi da tutti i forni europei, le stime dicono che saremmo in grado di dare da mangiare a tutta la Spagna. Fortunatamente, da qualche tempo è stata approvata in Francia una legge che obbliga i supermercati a donare la merce invenduta ad associazioni caritatevoli, ma si tratta di un provvedimento recente e non è ancora abbastanza: circa un terzo del cibo prodotto al mondo diventa rifiuto, a quanto dice la FAO.
David Gross, chef attivista austriaco ideatore di Wastecooking, ha deciso di rovistare per cinque settimane tra i rifiuti di abitazioni, mense scolastiche, supermercati e centri di raccolta, attraversando Austria, Germania, Belgio, Olanda e Francia. Ha pensato poi di raccogliere le cinque testimonianze di riciclo alimentare in un documentario, proiettato in anteprima nazionale a Le Voci dell’Inchiesta sabato 16 aprile.
David viaggia a bordo di un’auto alimentata ad olio esausto e si porta dietro un cassonetto messo a nuovo, con piano cottura e utensili per cucinare lo scarto prodotto dagli altri. A Vienna, il punto di partenza del suo itinerario, ha aperto le dispense di un intero complesso di appartamenti, facendosi consegnare confezioni scadute e vasetti abbandonati nei meandri più reconditi del frigorifero: poche ore dopo, un banchetto era allestito nel cortile comune, sotto lo sguardo incredulo degli inquilini che avevano offerto i loro stessi scarti.
In Belgio, David ha convinto lo chef della mensa del parlamento europeo a riciclare gli avanzi del giorno prima, imbastendo un pranzo addirittura più gradito ai commensali. In Germania ha recuperato gli ortaggi di scarto delle grandi reti commerciali, quelli bitorzoluti e ammaccati che non ci piacciono, per cuocerli sul suo cassonetto e distribuirli ai passanti. Quelle stesse verdure imperfette, tuttavia, sono anche il nutrimento di una categoria di consumatori molto speciale: i vermi. In Olanda, per esempio, le carote che il supermercato non vuole vendere diventano il mangime di vermi da allevamento, che hanno già riscosso un notevole successo nella forma di polpette o biscotti.
David sembra non poterlo negare: fra qualche anno i ricettari di cucina non saranno più gli stessi.
Arriverà il momento in cui non crederemo più a zucchine e cavolfiori prodotti in serie, non ci concederemo più di comprare cibo in abbondanza per poi buttarlo via, e forse ci cureremo di più del fatto che, per riempirci le pance, immense distese di terreno vengono coltivate e irrigate ogni giorno per ottenere prodotti agricoli, e soprattutto quel foraggio di cui un animale si nutrirà per fornirci la carne. Arriverà il momento in cui ci penseremo due volte prima di disfarci di un ortaggio nodoso o di un frutto ammaccato, e sapremo abituarci a nuove forme, reinventandole in nuovi gusti.
Succederà. Se avremo voglia di uno spuntino sostanzioso per la merenda, opteremo per dei biscotti fatti in casa: farina, zucchero, una presa di sale e, perché no, qualche scaglia di verme. Sì, giusto per conferire al dolcetto un retrogusto di nocciola. Con il tempo, non ci sembrerà più una cosa strana: dallo spreco, produrremo cibo.

Grazie a Elena che dopo aver visto il film a CinemaZero ha pensato bene di farci avere questo suo gradito contributo

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17 aprile: votare SÌ al referendum

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00000000ci_331Mentre a Gaiarine e dintorni imperversa la tristissima vicenda del progetto “Piromostro” in Italia domenica 17 aprile ci sarà il referendum definito NO Trivelle.
Vediamo in breve di che si tratta e perchè votare SÌ.

Si tratta di un referendum contro la durata indefinita delle trivellazioni per combustibili fossili a mare, entro le dodici miglia marine.

Che cosa accade in caso di vittoria del “SÌ” al referendum
Una vittoria referendaria del “sì” non modifica nulla relativamente alle attività oltre le 12 miglia marine, tantomeno la possibilità di cercare e sfruttare nuovi giacimenti sulla terraferma. Quindi sgombriamo il campo da chi grida “al lupo, al lupo!”. Parliamo solo delle trivellazioni vicine alla costa, quelle che non si possono più fare perché vietate dalla legge (art. 6, comma 17°, del decreto legislativo n. 152/2006 e s.m.i.).
Se al referendum dovessero vincere i “SÌ”, semplicemente alla scadenza delle concessioni, gli impianti dovrebbero chiudere, i primi tra 5 anni, gli ultimi tra circa venti.
Quali le conseguenze?
La prima cosa che i dati mostrano è che non si tratta di un referendum sulle trivellazioni di gas o petrolio, si tratta solo di decidere se ciò che è vietato fare ora entro le dodici miglia in mare, sia giusto permettere che continui fino ad esaurimento per gli impianti esistenti. Inutile quindi delineare apocalittici scenari di suicidio energetico o di fine prematura di una industria. Fuori luogo anche paventare effetti nefasti sul quadro energetico nazionale: i consumi fossili per fortuna stanno lentamente calando in Italia e se prendiamo sul serio gli impegni che il nostro governo ha sostenuto a Parigi lo scorso dicembre per evitare un aumento medio della temperatura entro i 2 gradi (magari 1,5), dovremo consumarne sempre meno e a livello globale dovremo lasciare sotto la crosta terrestre gran parte del petrolio.
oilDal punto di vista industriale, qualcuno ha fatto il paragone col referendum nucleare del 1986 ma il paragone è totalmente fuori luogo anzi, volendolo fare, se ne trarrebbero solo indicazioni per votare SÌ, poiché l’esito dei due referendum si è rivelato estremamente positivo per le imprese italiane (Enel in primis che libera da pressioni statali oggi ha cancellato dai propri progetti di sviluppo non solo il nucleare ma anche le fossili), ma ancor più per il bilancio nazionale, visto l’esorbitante aumento dei costi dei progetti occidentali di nuovi reattori nucleari. Si vada a guardare la situazione disastrosa del campione del nucleare francese Areva e della stessa EDF obbligata a venirle in soccorso.
Si paventa la perdita di posti di lavoro, certamente ci sarebbero delle conseguenze ma la politica industriale di un paese deve scegliere dove creare posti di lavoro e dove no, ed è curioso che in questi anni si siano scritti a frotte articoli sul peso degli incentivi alle rinnovabili (per inciso nel 2015 scesi di mezzo miliardo), e nessun commento per il fatto che dal 2011 al 2014 si siano persi 10 mila posti di lavoro nel solo settore eolico e che mentre nel 2011 il fotovoltaico abbia dato lavoro a 55 mila persone, nel 2014 a solo 4mila. Invece si scrive che il referendum del 17 aprile potrebbe “bloccare il motore che finora ha consentito alle oil compagnie di investire in Italia”.
Viva le “oil company” nostre benefattrici quindi!
oil2Sono tre anni che ci muoviamo come i gamberi in quanto a politiche di de-carbonizzazione del settore energetico (nel 2015 le emissioni di CO2 derivanti dalla produzione termoelettrica sono aumentate di 5,2 milioni di tonnellate rispetto al 2014), i oil3grafici seguenti mostrano che lo scorso anno abbiamo messo in opera meno pannelli solari del 2008; avevamo avviato una rivoluzione e, come spesso accade nel nostro paese, ci siamo poi fermati a metà del guado. La strategia energetica di cui abbiamo bisogno per creare posti di lavoro, inquinare meno, aumentare sicurezza ed autonomia è quella delle fonti rinnovabili e, non stiamo parlando della necessità di nuovi incentivi ma di regole che non la ostacolino, anche regole di mercato come sembra finalmente aver compreso Guido Bortoni, presidente dell’Autorità per l’Energia, che in un convegno recente ha finalmente ammesso che “se non cambia il disegno del mercato, [le rinnovabili] saranno esposte a una cannibalizzazione reciproca”.
In questo orizzonte, il referendum del 17 aprile risulta un’ottima occasione per esprimere la propria opinione sul futuro energetico del nostro paese e per ratificare (o rifiutare), l’accordo di Parigi sul clima.
oil4 oil5Tornando alle trivelle il danno economico del chiudere i pozzi allo scadere dei permessi non sarebbe enorme, anche perché in molti casi si tratta di impianti che hanno già avuto il loro picco produttivo e che vanno a graduale esaurimento. Ad esempio nove delle concessioni scadute (e che anche con la vittoria del SÌ non saranno comunque chiuse subito perché hanno già richiesto una estensione), sono nella situazione mostrata dal grafico che segue:
Anche guardando le concessioni i cui permessi inizieranno a scadere a partire dal 2017 e termineranno nel 2027, si nota come siano in calo produttivo, ossia come anche estendendo la loro vita ci sia sempre meno gas da estrarre.
Detto questo sarebbe giusto chiedersi perché la legge in vigore abbia vietato le trivellazioni entro le dodici miglia: per aumentare la sicurezza e proteggere i fondali più vicini alle coste da danni ambientali, perché un pozzo per estrarre idrocarburi ha un costo per l’ambiente.

Impatti sull’ambiente marino
Le attività di routine delle piattaforme possono rilasciare sostanze chimiche inquinanti e pericolose nell’ecosistema marino, come olii, greggio e metalli pesanti o altre sostanze contaminanti. I dati relativi ai piani di monitoraggio delle piattaforme attive in Adriatico che scaricano direttamente in mare, o iniettano/re-iniettano in profondità, le acque di produzione sono eloquenti.
I dati che si riferiscono agli anni 2012, 2013 e 2014, monitorati dall’ ISPRA (l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) sono stati pubblicati da Greenpeace e mostrano che, a seconda degli anni considerati, il 76% (2012), il 73,5% (2013) e il 79% (2014) delle piattaforme presenta sedimenti con contaminazione oltre i limiti fissati dalle norme comunitarie per almeno una sostanza pericolosa. Questi parametri sono oltre i limiti per almeno due sostanze nel 67% degli impianti nei campioni analizzati nel 2012, nel 71% nel 2013 e nel 67% nel 2014.
Come ha scritto Greenpeace nel suo rapporto: “Tra i composti che superano con maggiore frequenza i valori definiti dagli Standard di Qualità Ambientale (o SQA, definiti nel DM 56/2009 e 260/2010) fanno parte alcuni metalli pesanti, principalmente cromo, nichel, piombo (e talvolta anche mercurio, cadmio e arsenico), e alcuni idrocarburi come fluorantene, benzo[b]fluorantene, benzo[k]fluorantene, benzo[a]pirene e la somma degli idrocarburi policiclici aromatici (IPA). Alcune tra queste sostanze sono cancerogene e in grado di risalire la catena alimentare raggiungendo così l’uomo e causando seri danni al nostro organismo. La relazione tra l’impatto dell’attività delle piattaforme e la catena alimentare emerge più chiaramente dall’analisi dei tessuti dei mitili prelevati presso le piattaforme. Gli inquinanti monitorati in riferimento agli SQA identificati per questi organismi (appartenenti alla specie Mytilus galloproncialis), sono tre: mercurio, esaclorobenzene ed esaclorobutadiene. Di queste tre sostanze solo il mercurio viene abitualmente misurato nei mitili nel corso dei monitoraggi ambientali. I risultati mostrano che circa l’86% del totale dei campioni analizzati nel corso del triennio 2012-2014 superava il limite di concentrazione di mercurio identificato dagli SQA.”

oil6Conclusione
Se pensiamo che le estrazioni in mare siano pulite e non abbiano effetti sull’ambiente, se pensiamo che le fonti fossili debbano continuare ad essere sfruttate il più possibile, se pensiamo che prima si fanno i conti economici e poi si parla di ambiente, è chiaro che il 17 aprile sia meglio non andare neppure a votare.
In tutti gli altri casi, c’è un piccolo sforzo da fare.
Si ringrazia per gli spunti e i dati Roberto Meregalli
Beati i Costruttori di Pace Energia Felice

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