17 aprile: votare SÌ al referendum

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00000000ci_331Mentre a Gaiarine e dintorni imperversa la tristissima vicenda del progetto “Piromostro” in Italia domenica 17 aprile ci sarà il referendum definito NO Trivelle.
Vediamo in breve di che si tratta e perchè votare SÌ.

Si tratta di un referendum contro la durata indefinita delle trivellazioni per combustibili fossili a mare, entro le dodici miglia marine.

Che cosa accade in caso di vittoria del “SÌ” al referendum
Una vittoria referendaria del “sì” non modifica nulla relativamente alle attività oltre le 12 miglia marine, tantomeno la possibilità di cercare e sfruttare nuovi giacimenti sulla terraferma. Quindi sgombriamo il campo da chi grida “al lupo, al lupo!”. Parliamo solo delle trivellazioni vicine alla costa, quelle che non si possono più fare perché vietate dalla legge (art. 6, comma 17°, del decreto legislativo n. 152/2006 e s.m.i.).
Se al referendum dovessero vincere i “SÌ”, semplicemente alla scadenza delle concessioni, gli impianti dovrebbero chiudere, i primi tra 5 anni, gli ultimi tra circa venti.
Quali le conseguenze?
La prima cosa che i dati mostrano è che non si tratta di un referendum sulle trivellazioni di gas o petrolio, si tratta solo di decidere se ciò che è vietato fare ora entro le dodici miglia in mare, sia giusto permettere che continui fino ad esaurimento per gli impianti esistenti. Inutile quindi delineare apocalittici scenari di suicidio energetico o di fine prematura di una industria. Fuori luogo anche paventare effetti nefasti sul quadro energetico nazionale: i consumi fossili per fortuna stanno lentamente calando in Italia e se prendiamo sul serio gli impegni che il nostro governo ha sostenuto a Parigi lo scorso dicembre per evitare un aumento medio della temperatura entro i 2 gradi (magari 1,5), dovremo consumarne sempre meno e a livello globale dovremo lasciare sotto la crosta terrestre gran parte del petrolio.
oilDal punto di vista industriale, qualcuno ha fatto il paragone col referendum nucleare del 1986 ma il paragone è totalmente fuori luogo anzi, volendolo fare, se ne trarrebbero solo indicazioni per votare SÌ, poiché l’esito dei due referendum si è rivelato estremamente positivo per le imprese italiane (Enel in primis che libera da pressioni statali oggi ha cancellato dai propri progetti di sviluppo non solo il nucleare ma anche le fossili), ma ancor più per il bilancio nazionale, visto l’esorbitante aumento dei costi dei progetti occidentali di nuovi reattori nucleari. Si vada a guardare la situazione disastrosa del campione del nucleare francese Areva e della stessa EDF obbligata a venirle in soccorso.
Si paventa la perdita di posti di lavoro, certamente ci sarebbero delle conseguenze ma la politica industriale di un paese deve scegliere dove creare posti di lavoro e dove no, ed è curioso che in questi anni si siano scritti a frotte articoli sul peso degli incentivi alle rinnovabili (per inciso nel 2015 scesi di mezzo miliardo), e nessun commento per il fatto che dal 2011 al 2014 si siano persi 10 mila posti di lavoro nel solo settore eolico e che mentre nel 2011 il fotovoltaico abbia dato lavoro a 55 mila persone, nel 2014 a solo 4mila. Invece si scrive che il referendum del 17 aprile potrebbe “bloccare il motore che finora ha consentito alle oil compagnie di investire in Italia”.
Viva le “oil company” nostre benefattrici quindi!
oil2Sono tre anni che ci muoviamo come i gamberi in quanto a politiche di de-carbonizzazione del settore energetico (nel 2015 le emissioni di CO2 derivanti dalla produzione termoelettrica sono aumentate di 5,2 milioni di tonnellate rispetto al 2014), i oil3grafici seguenti mostrano che lo scorso anno abbiamo messo in opera meno pannelli solari del 2008; avevamo avviato una rivoluzione e, come spesso accade nel nostro paese, ci siamo poi fermati a metà del guado. La strategia energetica di cui abbiamo bisogno per creare posti di lavoro, inquinare meno, aumentare sicurezza ed autonomia è quella delle fonti rinnovabili e, non stiamo parlando della necessità di nuovi incentivi ma di regole che non la ostacolino, anche regole di mercato come sembra finalmente aver compreso Guido Bortoni, presidente dell’Autorità per l’Energia, che in un convegno recente ha finalmente ammesso che “se non cambia il disegno del mercato, [le rinnovabili] saranno esposte a una cannibalizzazione reciproca”.
In questo orizzonte, il referendum del 17 aprile risulta un’ottima occasione per esprimere la propria opinione sul futuro energetico del nostro paese e per ratificare (o rifiutare), l’accordo di Parigi sul clima.
oil4 oil5Tornando alle trivelle il danno economico del chiudere i pozzi allo scadere dei permessi non sarebbe enorme, anche perché in molti casi si tratta di impianti che hanno già avuto il loro picco produttivo e che vanno a graduale esaurimento. Ad esempio nove delle concessioni scadute (e che anche con la vittoria del SÌ non saranno comunque chiuse subito perché hanno già richiesto una estensione), sono nella situazione mostrata dal grafico che segue:
Anche guardando le concessioni i cui permessi inizieranno a scadere a partire dal 2017 e termineranno nel 2027, si nota come siano in calo produttivo, ossia come anche estendendo la loro vita ci sia sempre meno gas da estrarre.
Detto questo sarebbe giusto chiedersi perché la legge in vigore abbia vietato le trivellazioni entro le dodici miglia: per aumentare la sicurezza e proteggere i fondali più vicini alle coste da danni ambientali, perché un pozzo per estrarre idrocarburi ha un costo per l’ambiente.

Impatti sull’ambiente marino
Le attività di routine delle piattaforme possono rilasciare sostanze chimiche inquinanti e pericolose nell’ecosistema marino, come olii, greggio e metalli pesanti o altre sostanze contaminanti. I dati relativi ai piani di monitoraggio delle piattaforme attive in Adriatico che scaricano direttamente in mare, o iniettano/re-iniettano in profondità, le acque di produzione sono eloquenti.
I dati che si riferiscono agli anni 2012, 2013 e 2014, monitorati dall’ ISPRA (l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) sono stati pubblicati da Greenpeace e mostrano che, a seconda degli anni considerati, il 76% (2012), il 73,5% (2013) e il 79% (2014) delle piattaforme presenta sedimenti con contaminazione oltre i limiti fissati dalle norme comunitarie per almeno una sostanza pericolosa. Questi parametri sono oltre i limiti per almeno due sostanze nel 67% degli impianti nei campioni analizzati nel 2012, nel 71% nel 2013 e nel 67% nel 2014.
Come ha scritto Greenpeace nel suo rapporto: “Tra i composti che superano con maggiore frequenza i valori definiti dagli Standard di Qualità Ambientale (o SQA, definiti nel DM 56/2009 e 260/2010) fanno parte alcuni metalli pesanti, principalmente cromo, nichel, piombo (e talvolta anche mercurio, cadmio e arsenico), e alcuni idrocarburi come fluorantene, benzo[b]fluorantene, benzo[k]fluorantene, benzo[a]pirene e la somma degli idrocarburi policiclici aromatici (IPA). Alcune tra queste sostanze sono cancerogene e in grado di risalire la catena alimentare raggiungendo così l’uomo e causando seri danni al nostro organismo. La relazione tra l’impatto dell’attività delle piattaforme e la catena alimentare emerge più chiaramente dall’analisi dei tessuti dei mitili prelevati presso le piattaforme. Gli inquinanti monitorati in riferimento agli SQA identificati per questi organismi (appartenenti alla specie Mytilus galloproncialis), sono tre: mercurio, esaclorobenzene ed esaclorobutadiene. Di queste tre sostanze solo il mercurio viene abitualmente misurato nei mitili nel corso dei monitoraggi ambientali. I risultati mostrano che circa l’86% del totale dei campioni analizzati nel corso del triennio 2012-2014 superava il limite di concentrazione di mercurio identificato dagli SQA.”

oil6Conclusione
Se pensiamo che le estrazioni in mare siano pulite e non abbiano effetti sull’ambiente, se pensiamo che le fonti fossili debbano continuare ad essere sfruttate il più possibile, se pensiamo che prima si fanno i conti economici e poi si parla di ambiente, è chiaro che il 17 aprile sia meglio non andare neppure a votare.
In tutti gli altri casi, c’è un piccolo sforzo da fare.
Si ringrazia per gli spunti e i dati Roberto Meregalli
Beati i Costruttori di Pace Energia Felice

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Bruciare rifiuti = crimine contro l’umanità

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Dominique Belpomme
(ARTAC, Association pour la Recherche Thérapeutique Anti-Cancéreuse)

CAM00012La premessa riguarda la situazione dove a uno storico cementificio è stato concesso di bruciare rifiuti nei forni inseriti nel proprio ciclo produttivo. Quindi ad un’attività produttiva già altamente inquinante (viene considerato attività insalubre di prima classa) viene concessa ulteriore attività inquinante e nociva.
Nelle settimane scorso le analisi effettuate in pollame allevato nella zona ha trova to valori di diossina in misura 3 / 4 volte superiori a quella consentita.
Fatto già accaduto anni addietro.

L’incontro viene introdotta dal comitato che organizza e che da anni segue la vicenda del cementificio. Il pubblico è numeroso e sono presenti molti amministratori locali m anche un consigliere regionale.
Viene riassunta la vicenda e ricordato che abbiamo una grande e grave responsabilità verso le future generazioni, evidenziando l’ormai riconosciuta relazione tra la nostra qualità della vita e l’ambiente nel quale viviamo.
Viene ricordato il percorso di anni tra conferenze, petizioni, incontri affiancati anche ma non sempre dalle istituzioni fino ad arrivare in Regione a Trieste. Viene chiesta una volta di più la partecipazione dei cittadini alle scelte che si operano nel territorio in cui vivono. Menzionando il prossimo pronunciamento del Consiglio di Stato sulla vicenda cementificio a cui sono ricorsi alcuni Comuni per essere stati esclusi dalla Conferenza dei Servizi si conclude citando il prof. Dominique Belpomme (Oncologo francese, Presidente dell’Associazione per la Ricerca e Terapia contro il cancro ARTAC) che ancora nel 2011 definì l’incenerimento di rifiuti “un crimine contro l’umanità”.

Pagina_1Dr. Gustavo Mazzi, medico, ISDE Pordenone
Ricordando come da ormai 7 anni segue assieme al comitato la vicenda, e chiamato a inquadrarla nel contesto del territorio locale, pone una domanda che ritiene fondamentale per affrontare qualsiasi ulteriore discorso: questo territorio ne ha bisogno? Abbiamo davvero tutti coscienza di cosa andremo a subire? Ce lo possiamo permettere?
Ricorda che il FVG sia parte di quella pianura padana ormai universalmente e tristemente conosciuta come area col peggior inquinamento atmosferico d’europa.
I dati del registro tumori FVG 1995-2005 danno un’incidenza maggiore rispetto alla media italiana, confermati poi nel 2009 e nel 2011. Certo rispetto ad altre regioni FVG è brava a gestire le patologie ma anche nel operare un’apprezzabile prevenzione secondaria (screening, test, checkup) però non si distingue dalla sconfortante incapacità nazionale, europea, mondiale di realizzare prevenzione primaria.
La differenza è sostanziale: la prima punta alla scoperta precoce delle patologie tumorali, la seconda mira ad evitarne le cause.
Ricordando come le sue tabelle siano ricavate da fonti ufficiali e istituzionali, mostra un’analisi 2013 ARPAFVG delle acque superficiali dove la presenza di agenti tossici è preoccupante, così come anche la presenza di residui da pesticidi rilevata negli alimenti, sottolineando come ci sia un grande problema nella considerazione del multiresiduo:
una mela con la presenza di 9 contaminanti tutti sotto i limiti di legge è a norma e adatta al consumo umano ma in medicina 1+1 può fare 3 ma anche 4 poiché la combinazione e l’interazione di singole molecole possono moltiplicare esponenzialmente i loro effetti.
Riporta quindi dati ricavati dall’INEMAR ovvero il catasto delle emissioni aria, un database utilizzato per realizzare l’inventario delle emissioni di inquinanti in atmosfera, le cui stime si realizzano a livello comunale per diversi inquinanti e combustibili utilizzando le metodologie definite in ambito europeo ed internazionale.
Poi mostra una tabella ISPRA relativa alla produzione rifiuti 2013/2014 che mostra il mediocre risultato FVG e sottolinea come il primato negativo spetti a Toscana ed Emilia Romagna dove, guarda caso, c’è la presenza numerosa di inceneritori. Un’altra tabella mostra la raccolta differenziata per provincia: Trieste è nettamente la peggiore in FVG ma ovviamente ha l’inceneritore a Servola.
Venendo al Friuli Occidentale studi del 2013 danno già evidenza di inquinamento dei suoli da metalli pesanti.
Inoltre lo studio delle correnti d’aria (venti regnanti e dominanti) dimostrano la vulnerabilità di zone ben definite circostanti al cementificio con la rilevazione significativa di particelle di alluminio, cromo, manganese.
Ricorda la possibilità per l’amministratore locale di gestire preventivamente queste situazioni con lo strumento urbanistico che può vietare la presenza di attività insalubri in parte o tutto il proprio territorio.
Ricordando che dei fumi derivati dalla combustione il 30% diventa cenere e può finire nel cemento ma il 70% diventa polvere e finisce nell’aria quando i filtri e  dispositivi risultano carenti o insufficienti a bloccarne la diffusione.
Segnala che la diossina permane e si accumula nel suolo per decine di anni.
Si pone infine degli interrogativi quando vede che ci sono direttive che in contraddizione con analoghe direttive esistenti consentono emissioni maggiori per specifiche attività produttive.
Conclude con alcune proposte avanzate da ISDE con l’invito pressante a ridurre qualsiasi tipo di emissione, a calcolare i residui tossici x ricaduta e non per quantità, controlli in continuo sui camini e sulle fonti di emissione ricordando che nell’INEMAR il valore di riferimento auspicato per emissioni di diossina è zero, segnalando anche come l’utilizzo di dispositivi come il deposimetro rilevino le polveri che si depositano liberamente nell’atmosfera da quel momento in poi mentre l’analisi del suolo calcola tutto quello che già contiene.

Pagina_2Prof. Gianni Tamino biologo ISDE
Esordisce ricordando che in natura non esistono i rifiuti regolandosi attraverso la catena degli organismi viventi strutturati in un sistema circolare, ciclico.
Ad esempio la materia prima della fotosintesi è lo scarto della nostra respirazione.
La combustione interrompe questa circolarità e impedisce di fatto il riciclo perdendo quindi definitivamente una risorsa. I processi produttivi delle attività umane bruciano combustibili fossili e si inseriscono in un sistema lineare senza recupero.
L’umanità ha sempre prodotto rifiuti ma per millenni relativamente pochi e soprattutto organici.
La rivoluzione industriale e i prodotti di sintesi hanno alterato questo ciclo.
Venendo al cemento.
Non è vero che consumi di energia e di cemento (possono solo crescere)  e questo lo sta dimostrando la crisi mondiale. A livello legislativo il decreto Clini costituisce un ostacolo sconcertante alla raccolta differenziata consentendo l’incenerimento dei rifiuti anche nei cementifici che possono così inglobare nella polvere di cemento le ceneri residue ma consentendone anche emissioni più alte con limiti maggiori.
Ricorda che il 90% delle molecole presenti nei fumi è sconosciuto poiché combinato tra loro, mentre viene cercata e monitorata la presenza di alcuni tra questi composti ad esempio diossine e PCB.
Cita la legge fisica della meccanica classica per la quale “Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma” del de Lavoisier per cui da 3 tonnellate di rifiuto bruciato si ottiene 1 tonnellata di ceneri e queste sono conseguenze di qualsiasi tipo di combustione.
Studi epidemiologici pubblicati e riconosciuti dimostrano come la popolazione infantile che vive nelle prossimità di inceneritori sia mediamente più malata di quella che non ne è vicina.
Continua sottolineando come i limiti di legge si riferiscano a valori di peso delle molecole mentre diventa assai più significativa la superficie che queste molecole espongono una volta nel nostro organismo.
Trattando di volumi il rapporto a parità di peso tra PM1 e PM10 è 1000 e non 10.
Rammenta ad esempio che gli ossidi azoto, di zolfo e altri innescano polveri secondarie e ozono nei mesi estivi.
Altri studi riportano come il rapporto tra presenza di polveri sottili e rischio patologie o morte aumenti sia direttamente proporzionale e collegato.
Cita poi l’esistenza di norme sulle emissioni (ovvero ciò che esce dai camini) e sulle immissioni (ovvero ciò che ricade da tutte le fonti inquinanti) e che dal 2013 lo IARC riconosce le polveri sottili come accertato cancerogeno.
L’alternativa all’incenerimento è la raccolta differenziata regolata dalle 3R:
Ridurre, Riusare, Riciclare poiché è fondamentale l’obiettivo di reimmettere nel ciclo produttivo gli elementi prima scartati e poi recuperati.
Togliendo poi una volta per tutte ogni forma di incentivo alle attività di incenerimento dei rifiuti, cosa che ne toglierebbe definitivamente qualsiasi convenienza economica.
Prosegue poi con la vicenda locale.
Affermando che la diossina è pericolosa a picogrammi (un bilionesimo di grammo ovvero un milionesimo di milionesimo di grammo!) agendo come interferente endocrino, avverte come diventi più importante controllare quantità e qualità dei materiali da bruciare. Il controllo dei fumi avviene ormai a fiamme fatte.
Segnala come in tutte le zone dove si bruciano rifiuti si riscontra la presenza di diossine nelle matrici organiche/biologiche e mostra l’esempio di Venafro nel molisano e Forlì nel romagnolo.
Spiega poi il fenomeno, sempre sottovalutato, della biomagnificazione ovvero quel processo per cui l’accumulo di sostanze tossiche negli esseri viventi aumenta di concentrazione man mano che si sale al livello trofico successivo, ovvero procedendo dal basso verso l’alto della piramide alimentare all’interno della rete trofica.
L’esempio più eclatante è costituito dal latte materno di mamme viventi nei pressi di complessi inquinanti che evidenziano la presenza di diossine con valori che, riscontrati nel latte vaccino per alimentazione, lo renderebbero fuorilegge.
Richiama e spiega infine il Principio di Precauzione, che valido in Europa non è riconosciuto dagli Stati Uniti e dal WTO e nemmeno dal TTIP ora in discussione.
Ricorda che l’attività privata d’impresa è normata e sancita dall’art 41 della nostra Costituzione come libera ma non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. È perciò subordinata all’art 32 che sancisce la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività.
Conclude citando Lorenzo Tomatis oncologo italiano, direttore, dal 1982 fino al 1993 della prestigiosa Agenzia Internazionale per le Ricerche sul Cancro di Lione, (IARC) e il suo richiamo adottare il principio di precauzione e quello di responsabilità significa anche accettare il dovere di informare, impedire l’occultamento di informazioni su possibili rischi….evitare che si consideri l’intera specie umana come un insieme di cavie sulle quali sperimentare tutto quanto è in grado di inventare il progresso tecnologico”.

Dr. Giorgio Zampetti, geologo, Legambiente
Presenta lo stato dell’arte dei rifiuti in italia, che per il 39% finiscono in discarica, 19% inceneriti, 45% differenziai.
Ricorda come già negli anni ’90 Legambiente con l’iniziativa dei comuni ricicloni abbia premiato i comuni virtuosi che si distinguevano nella raccolta differenziata e cita esempi di realtà produttive, anche semisconosciute, che si inseriscono con successo nella filiera dei rifiuti ad esempio raccogliendo e differenziando pannolini e pannoloni.
Spiega poi come lo Sblocca-Italia vada dissennatamente in direzione contraria prevedendo la costruzione di nuovi inceneritori, contestati dalle stesse regioni, dimostrando come il governo non abbia alcuna strategia sui rifiuti e proponendo quindi il CSS come risorsa ma dimostrando solo di arrivare tardi, fuori tempo massimo.
Ricorda come per anni la contrapposizione sia stata tra difesa salute/ambiente e difesa posti di lavoro mentre ora le evidenze scientifiche portano alla condivisione di lotte e obiettivi.
Conclude ricordando alcune proposte dell’associazione ambientalista, come l’innalzamento degli oneri per il conferimento in discarica, l’attivazione della tariffazione puntuale, l’abolizione dell’incentivazione all’incenerimento dei rifiuti, la maggiore disponibilità di risorse per le agenzie ambientali e l’avvio di un ampio dibattito pubblico sul tema delle risorse, dei consumi e dei rifiuti.

Sono stati numerosi gli interventi dal pubblico tra cui quelli di versi sindaci, tra tutti il Sindaco Carli di Maniago capofila del ricorso al Consiglio di Stato, che rivendica la presenza degli amministratori locali nelle fasi decisionali di questi impianti;
ricorda poi l’importanza di agire in condivisione ad esempio con l’adesione al Patto dei Sindaci che prevede l’obiettivo di ridurre le emissioni di CO2 di almeno il 40% entro il 2030 e ad adottare un approccio integrato per affrontare la mitigazione e l’adattamento ai cambiamenti climatici.

In conclusione
È chiaro che il caso specifico di Fanna è dissimile da quello possibile di Gaiarine e Paese.
Cambia la tecnologia, cambia il combustibile.
Rimangono le fiamme.
Rimane lo spreco di risorsa organica.
Rimane lo scopo di far soldi, e tanti, perché gli azionisti della piroazienda vanno tutelati.

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La casa ecoefficiente

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energo22Clima estivo e alternative più frivole non hanno impedito ad alcune decine di persone di partecipare con attenzione ed interesse alla conferenza sulla casa ecoefficiente ierisera a Villa Altan.
Introdotta e motivata dal gruppo Esserci è stata poi sviluppata dall’intervento del dottor Padovan di EnergoClub, associazione che da più di un decennio segue dalla provincia di Treviso, nel Veneto e oltre le tematiche del risparmio energetico e delle energie rinnovabili e sostenibili.
Relazione molto concreta e ricca di esempi che ha presentato offerte e possibilità già presenti oggi sul mercato e che possono da subito modificare sia il nostro impatto sull’ormai precario equilibrio ambientale sia sul sempre più risicato equilibrio economico di tante famiglie.DSC_3077
Fotovoltaico, pompe di calore, termodinamico, solare termico come fonti di energia rinnovabile ed efficiente, che avvicini l’obiettivo della migrazione dalle fossili alle rinnovabili.
Coibentazioni e infissi come interventi di miglioramento strutturale che abbatta drasticamente le dispersioni termiche dell’abitazione.
Strumenti come il chek-up energetico che attraverso una diagnosi veloce e puntuale, a partire dai dati caratteristici della casa, dai dispositivi utilizzati e dalle abitudini del nucleo familiare, permette di definire la struttura dei consumi e le priorità d’intervento, con una scala di priorità di interventi consigliati in base ai costi/benefici ottenibili (il primo intervento consigliato sarà quello che permette di ottenere il maggior risparmio energetico con la minor spesa).
Molto interessanti anche alcuni esempi pratici con valori economici tanto realistici da suscitare immediati commenti e domande dal pubblico, sapientemente soddisfatte dal relatore dimostrando preparazione, competenza e padronanza del pur vasto argomento. Stimolante l’approccio suggerito nel valutare la spesa necessaria alla riqualificazione energetica della propria abitazione. È ciò che si spende comunque per riscaldare e illuminare e “muovere” una casa non efficiente che va investito pari pari negli interventi di riqualificazione e ne consentiranno il rientro.
DSC_3078Ricordata anche la possibilità di scegliere il gestore elettrico che garantisce le proprie fonti di energia esclusivamente rinnovabili (ad esempio Trenta) ma anche la recentissima proposta di una cooperativa che si propone come fornitore di energia elettrica: si chiama è nostra e ne abbiamo parlato un paio di settimane addietro (vedi qui).
Illustrate infine sia la possibilità di partecipare a gruppi d’acquisto (fotovoltaico, pompe di calore, piani ad induzione ma anche coibentazioni, infissi, impiantistica) come le collaborazioni e le consulenze fornite alle amministrazioni comunali (analisi termografica gratuita per i cittadini del comune di Treviso, stesura PAES di diversi comuni della provincia).
Numerosi gli interventi dal pubblico, sia installatori che cittadini interessati.
Insomma, serata convincente e certamente positiva che ne rende non solo possibile ma probabile la riproposizione in un prossimo futuro.

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L’energia dei cittadini – rinnovabile, etica, condivisa

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padovaOttima occasione ieri mattina a Padova per approfondire l’argomento energia da fonti rinnovabili e fonti fossili.
Intitolata “L’energia dei cittadini. Rinnovabile, sostenibile, etica, condivisa” la conferenza è partita dalle criticità ambientali alle gravi conseguenze sulla salute, dal cambiamento climatico all’impoverimento delle risorse, dallo sconvolgimento dell’economia locale o regionale ai ricatti occupazionali… 1260181006184industrie_inquinamento Il modello basato sulle fonti fossili lascia dietro di sé segni profondi e cicatrici difficili da sanare. Ma l’alternativa a potere e sistema centralizzati già esiste: si chiama democrazia energetica e si basa sulla produzione diffusa dell’energia, sul coinvolgimento e la partecipazione attiva delle comunità, sulla creazione di benefici reciproci su larga scala. La locomotiva del cambiamento marcia ormai inarrestabile. Ma il sistema – nel grande e nel piccolo – è compromesso al punto da imporre una conversione più decisa e radicale. Un passaggio possibile solo con la partecipazione diretta dei cittadini, i veri attori della transizione dal basso, nel loro ruolo attivo di produttori e consumatori consapevoli, responsabili e critici.
ènostra_logoL’iniziativa è stata promossa da è nostra con Banca Etica e con il patrocinio dell’Assessorato all’Ambiente del Comune di bancaPadova, inserito nella cornice europea della Energy Sustainable Week.
Davvero interessanti gli interventi.

colellaALBINA COLELLA, Prof. Ordinario di Geologia all’Università di Basilicata, ha presentato il libro “L’impatto ambientale del petrolio. In mare e in terra” e tra gli altri ha compiuto e compie studi su georisorse (acqua, petrolio), inquinamento da idrocarburi, rischi geoambientali, monitoraggio e inquinamento delle risorse idriche.
Ha portato l’esempio disastroso di 25 anni di estrazioni petrolifere nella Basilicata. video

mocciMAURO MOCCI, referente per il Lazio dell’Ass. italiana medici per l’Ambiente, ha parlato degli impatti sanitari accertati di carbone e petrolio sulle popolazioni interessate dall’industria fossile, è isdecoordinatore, supervisore e responsabile del “Registro Tumori” della Azienda USL Roma F e Referente per il Lazio della Associazione Medici per l’Ambiente ISDE. Ha partecipato a numerosi congressi medici ed incontri scientifici in Italia e all’estero. Svolge missioni mediche umanitarie in favore di bambini con handicap motori e di persone indigenti. video

iacoboniLUCA IACOBONI, Resp. Campagna Energia e Clima Greenpeace Italia, che ha portato una riflessione su un elemento che, per convenienza, si cerca costantemente di ignorare: i costi esterni. Le varie-Greenpeacecosiddette esternalità sono dei costi che non si riflettono direttamente sul prezzo finale di un bene (ad esempio il costo di un kWh ottenuto dalla combustione di carbone), ma che sono causati da questo e pagati dalla collettività, spesso tramite imposte (i costi esterni legati alla produzione da carbone, ad esempio, ammontano a circa 2,6 miliardi l’anno e sono in gran parte pagati da tutti noi mediante le tasse). Se considerassimo questo aspetto, il discorso cambierebbe radicalmente: le fonti fossili verrebbero immediatamente sbattute fuori dal mercato se solo pagassero per i danni che causano (sia sul fronte sanitario che su quello ambientale). campagna trivadvisor

patruccoDANIELA PATRUCCO, Sociologa dell’Ambiente, Portavoce SpeziaViaDalCarbone, Portavoce del Comitato SpeziaViaDalCarbone, speziasegue il conflitto della locale centrale Enel con uno sguardo più ampio sugli impatti socio-ambientali e sanitari delle produzioni inquinanti. E’ vicepresidente di Retenergie e socia di Medicina Democratica, Rete Stop Enel, Comitati Nazionali No al Carbone e AssopacePalestina. Dal 2012 collabora con diverse testate tra cui Altreconomia, Valori, CNS Ecologia Politica e Scienzainrete.it. Si occupa di organizzazione, comunicazione e progettazione di Sistemi di gestione ambientale. video

questi interventi hanno costituito una prima parte dedicata a “il vecchio che lascia il segno” enostranell’ambiente e nella salute.
mentre la seconda sezione si è orientata a valorizzare gli elementi e le opportunità che caratterizzano la nuova democrazia energetica e le frontiere dell’energia condivisa e del consumo critico, con gli interventi di

gallicaniMARCO GALLICANI, Area Socio-Culturale Banca Etica, che si occupa attivamente di finanza etica, economia solidale e responsabilità sociale d’impresa, e ha presentato il manifesto Terra Viva e i pilastri della nuova democrazia presentando il concetto di economia circolare. campagna terra viva

zanoniDAVIDE ZANONI, Presidente è nostra, già coordinatore di progetti finanziati dalla Commissione Europea, OECD, enti pubblici e fondazioni tra cui il progetto EU RESCoop20-20-20 e il progetto Central Europe InoPlace. video

 
ruggieriGIANLUCA RUGGIERI, Ingegnere ambientale, consigliere di è nostra, ricercatore presso l’Università dell’Insubria, fa parte del comitato scientifico di AIAT, socio fondatore di Retenergie. video

 

lorenzoniARTURO LORENZONI, Prof. di Economia dell’energia all’Università di Padova, collabora anche con l’Istituto di Economia e Politica dell’Energia e dell’Ambiente (IEFE) dell’Università Bocconi di Milano, sui temi dell’economia dell’energia. video

 

Catturain extremis e a conclusione un appello del senatore Massimo Girotto dei 5 Stelle sulla riforma della bolletta elettrica ora in fase di definizione e che prevede di premiare chi consuma di più, vera bestialità contraria ad ogni ragionevole e lodevole politica di risparmio energetico e perciò a rischio d’infrazione da parte della comunità europea.

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A proposito di illuminazione pubblica

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illuminazione_pubblica_ledIl settore dell’illuminazione pubblica, attualmente, presenta caratteristiche tali da consentire la realizzazione di interventi di efficienza energetica, finalizzati al conseguimento di un consistente risparmio di energia elettrica, con conseguenti benefici in termini economici ed ambientali.

In questo contesto la tecnologia LED si sta rapidamente diffondendo: il centro storico della città di Venezia è ogni giorno illuminato mediante questa tecnologia che garantisce importanti risparmi economici e ambientali (in termini di riduzione di emissioni di CO2). Nello specifico della città di Venezia il LED ha determinato un risparmio energetico ed economico pari al all’81,4% consentendo un’economia di oltre 750 kW.

Non meno importanti i risultati ottenuti sul piano qualitativo, rigorosamente vagliati a più riprese dai tecnici dell’Amministrazione Comunale e dalla Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici, ai quali premeva lasciare intatte le caratteristiche uniche di colore della notte veneziana, salvaguardando le atmosfere uniche di un patrimonio dell’umanità.

Non solo Venezia ma anche Roma ha deciso di dire addio ai lampioni con le vecchie lampadine: “Il Comune di Roma ha subito avviato un percorso prioritario per la sostituzione graduale con la tecnologia led di tutte le lampade utilizzate per la pubblica illuminazione, che porterà un risparmio di “15 milioni ogni anno” dichiara Ignazio Marino il Sindaco della Capitale.

La tecnologia LED è coerente con le indicazioni dei Criteri Ambientali Minimi (CAM) dell’illuminazione pubblica, che  sono stati aggiornati con Decreto del 23 dicembre 2013 (Supplemento ordinario alla G.U. n. 18 del 23 gennaio 2014).

tratto da comunivirtuosi.org

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L’eredit

Di seguito un articolo sull’eredità di Chernobyl in Norvegia.
Il testo è tratto dal giornale nazionale VG Nett del 18 aprile 2011, la traduzione in Italiano è stata effettuata in automatico da Google Chrome ma poichè un traduttore automatico fa quel che può mi son permesso di reinterpretarne in modo più umano frasi e significati.

Vivere con l’eredità di Chernobyl per decenni

L’eredità di Chernobyl è ancora presente nella natura norvegese, e lo sarà ancora per i decenni a venire.
Grandi quantità di cesio radioattivo piovevano su Valdres, Jotunheimen, Nord-Trondelag e Nordland dopo l’incidente alla centrale nucleare di Chernobyl 25 anni fa.

Le particelle radioattive sono ancora lì, assorbite da piante, erbe e funghi, pasto principale di pecore, cervi e altri animali da pascolo.

Anche se il calo della radioattività nelle zone più colpite si è stabilizzato, Astrid Liland, capo sezione della Norwegian Radiation Protection Authority, ha detto che “Probabilmente dovremo continuare anche nei prossimi 20, 30 anni con le misure precauzionali fin qui adottate per ovini e renne”.

A tutt’oggi è infatti necessario controllare regolarmente gli allevamenti di renne Sami in Snasa per garantire che non siano contaminate in maniera pericolosa per l’uomo.
Controlli che hanno rilevato negli allevamenti del Nord-Trondelag una radioattività tale da sconsigliarne l’utilizzo alimentare.
Quel venerdì 26 aprile 1986 una insensata sperimentazione condotta presso gli impianti di Chernobyl, porta il reattore numero 4 fuori controllo fino ad esplodere.

Enormi quantità di particelle radioattive vengono scagliate in atmosfera dove si disperdono seguendo le correnti d’aria settentrionali. Intanto la grafite contenuta nel reattore s’incendia.

Le autorità sovietiche taceranno per giorni notizie sull’incidente.

Due giorni dopo, 600 dipendenti della centrale nucleare di Forsmark a nord di Stoccolma vengono evacuati, dopo che è stata rilevata una radioattività insolitamente alta, cosa che fa pensare a una perdita nell’impianto.

I venti di pioggia dall’est arrivano fin nei pressi di Oslo, e portano con loro livelli di radioattività elevati.
Il lunedì sera, quasi dopo tre giorni dopo l’incidente, l’agenzia di stampa sovietica Tass in una breve dichiarazione parla di un incidente presso la centrale di Chernobyl.
L’incendio nel reattore 4 ha imperversato per dieci giorni prima di essere spento.

Il reattore ha vomitato livelli di radioattività 200 volte superiori a quelli delle bombe sganciate su Hiroshima e Nagasaki.

Le autorità norvegesi si sono trovate del tutto impreparate ad affrontare una situazione così grave e così nuova.
Conseguenza di questo una quantità di informazioni e decisioni contraddittorie e fuorvianti, e una crisi di sfiducia e diffidenza tra autorità e popolazione.
“Non c’è motivo di preoccuparsi” dissero al Ministero degli Affari Sociali mentre ancora il fuoco infuriava a Chernobyl. Ma la gente era terrorizzata, e impediva ai bambini di uscire all’aperto quando pioveva.
Chernobyl ha anche messo alla luce una mancanza di preparazione e coordinamento tra le varie agenzie del governo norvegese.
La drammatica esperienza di Chernobyl ha portato poi alla costituzione di un nuovo modello di emergenza, con una rete capillare di rilevamento dei livelli di contaminazione radioattiva. È previsto anche un comitato speciale di crisi dotato di ampi poteri, che si attiva immediatamente nel caso di pericoli improvvisi e acuti.
In Norvegia la paura dopo Chernobyl è scemata negli anni.
È oggi impossibile misurare l’effetto della contaminazione radioattiva derivata da quel disastro sulle statistiche relative alle patologie tumorali degli anni immediatamente successivi.
Ancora oggi, così come per ancora molti anni a venire, gli escursionisti nello Jotunheimen raccoglieranno cesio radioattivo nei loro scarponi da montagna; ma non si sono verificati danni irreparabili nel patrimonio naturale norvegese.
Fanno eccezione alcuni settori periferici dell’economia, nei quali l’allevamento di renne e ovini sono stati i più colpiti, con la necessaria distruzione di grandi quantità di carne ricavata da animali contaminati.

E ancora oggi, dopo 25 anni, sono necessarie misure particolari: in alcune zone renne e ovini da allevamento vengono prelevati dai loro pascoli abituali e alimentati con mangimi non radioattivi poche settimane prima della macellazione. Nel 2010 oltre 20.000 pecore sono state sottoposte a questa misura cautelativa al fine di ridurre i livelli di radioattività prima della macellazione.
E il numero di animali soggetti al trattamento è più grande dove è maggiore la presenza di funghi nell’alimentazione, poichè il fungo ha la proprietà di assorbire grandi quantità di cesio radioattivo dal suolo.

Tutto questo ha un costo.
“A distanza di 25 anni ci avviciniamo probabilmente a 700 milioni” ha detto ancora Astrid Liland; e il dispositivo di legge che prevede le misure cautelative è tuttora in esecuzione con una media di 1,8 milioni all’anno.


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L’eredit

Di seguito un articolo sull’eredità di Chernobyl in Norvegia.
Il testo è tratto dal giornale nazionale VG Nett del 18 aprile 2011, la traduzione in Italiano è stata effettuata in automatico da Google Chrome ma poichè un traduttore automatico fa quel che può mi son permesso di reinterpretarne in modo più umano frasi e significati.

Vivere con l’eredità di Chernobyl per decenni

L’eredità di Chernobyl è ancora presente nella natura norvegese, e lo sarà ancora per i decenni a venire.
Grandi quantità di cesio radioattivo piovevano su Valdres, Jotunheimen, Nord-Trondelag e Nordland dopo l’incidente alla centrale nucleare di Chernobyl 25 anni fa.

Le particelle radioattive sono ancora lì, assorbite da piante, erbe e funghi, pasto principale di pecore, cervi e altri animali da pascolo.

Anche se il calo della radioattività nelle zone più colpite si è stabilizzato, Astrid Liland, capo sezione della Norwegian Radiation Protection Authority, ha detto che “Probabilmente dovremo continuare anche nei prossimi 20, 30 anni con le misure precauzionali fin qui adottate per ovini e renne”.

A tutt’oggi è infatti necessario controllare regolarmente gli allevamenti di renne Sami in Snasa per garantire che non siano contaminate in maniera pericolosa per l’uomo.
Controlli che hanno rilevato negli allevamenti del Nord-Trondelag una radioattività tale da sconsigliarne l’utilizzo alimentare.
Quel venerdì 26 aprile 1986 una insensata sperimentazione condotta presso gli impianti di Chernobyl, porta il reattore numero 4 fuori controllo fino ad esplodere.

Enormi quantità di particelle radioattive vengono scagliate in atmosfera dove si disperdono seguendo le correnti d’aria settentrionali. Intanto la grafite contenuta nel reattore s’incendia.

Le autorità sovietiche taceranno per giorni notizie sull’incidente.

Due giorni dopo, 600 dipendenti della centrale nucleare di Forsmark a nord di Stoccolma vengono evacuati, dopo che è stata rilevata una radioattività insolitamente alta, cosa che fa pensare a una perdita nell’impianto.

I venti di pioggia dall’est arrivano fin nei pressi di Oslo, e portano con loro livelli di radioattività elevati.
Il lunedì sera, quasi dopo tre giorni dopo l’incidente, l’agenzia di stampa sovietica Tass in una breve dichiarazione parla di un incidente presso la centrale di Chernobyl.
L’incendio nel reattore 4 ha imperversato per dieci giorni prima di essere spento.

Il reattore ha vomitato livelli di radioattività 200 volte superiori a quelli delle bombe sganciate su Hiroshima e Nagasaki.

Le autorità norvegesi si sono trovate del tutto impreparate ad affrontare una situazione così grave e così nuova.
Conseguenza di questo una quantità di informazioni e decisioni contraddittorie e fuorvianti, e una crisi di sfiducia e diffidenza tra autorità e popolazione.
“Non c’è motivo di preoccuparsi” dissero al Ministero degli Affari Sociali mentre ancora il fuoco infuriava a Chernobyl. Ma la gente era terrorizzata, e impediva ai bambini di uscire all’aperto quando pioveva.
Chernobyl ha anche messo alla luce una mancanza di preparazione e coordinamento tra le varie agenzie del governo norvegese.
La drammatica esperienza di Chernobyl ha portato poi alla costituzione di un nuovo modello di emergenza, con una rete capillare di rilevamento dei livelli di contaminazione radioattiva. È previsto anche un comitato speciale di crisi dotato di ampi poteri, che si attiva immediatamente nel caso di pericoli improvvisi e acuti.
In Norvegia la paura dopo Chernobyl è scemata negli anni.
È oggi impossibile misurare l’effetto della contaminazione radioattiva derivata da quel disastro sulle statistiche relative alle patologie tumorali degli anni immediatamente successivi.
Ancora oggi, così come per ancora molti anni a venire, gli escursionisti nello Jotunheimen raccoglieranno cesio radioattivo nei loro scarponi da montagna; ma non si sono verificati danni irreparabili nel patrimonio naturale norvegese.
Fanno eccezione alcuni settori periferici dell’economia, nei quali l’allevamento di renne e ovini sono stati i più colpiti, con la necessaria distruzione di grandi quantità di carne ricavata da animali contaminati.

E ancora oggi, dopo 25 anni, sono necessarie misure particolari: in alcune zone renne e ovini da allevamento vengono prelevati dai loro pascoli abituali e alimentati con mangimi non radioattivi poche settimane prima della macellazione. Nel 2010 oltre 20.000 pecore sono state sottoposte a questa misura cautelativa al fine di ridurre i livelli di radioattività prima della macellazione.
E il numero di animali soggetti al trattamento è più grande dove è maggiore la presenza di funghi nell’alimentazione, poichè il fungo ha la proprietà di assorbire grandi quantità di cesio radioattivo dal suolo.

Tutto questo ha un costo.
“A distanza di 25 anni ci avviciniamo probabilmente a 700 milioni” ha detto ancora Astrid Liland; e il dispositivo di legge che prevede le misure cautelative è tuttora in esecuzione con una media di 1,8 milioni all’anno.


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