Le voci dell’inchiesta – Make food not waste

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68c91914b6364289b205a846e8b216fa“Make food, not waste”: a tavola con lo spreco
Quando vivevo a Parigi, io e la mia amica Anna andavamo spesso a Belleville a prendere il pane avanzato per poi mangiarcelo con il formaggio. Non ricordo più il nome del panettiere, ma l’appuntamento del venerdì era immancabile: alle dieci di sera, Anna caricava sulla sua bicicletta una busta piena di baguettes. Bastava sedersi in un posto qualsiasi, chiamare qualche altro amico per dar fondo al sacchetto e la cena era pronta. Spendevamo al massimo qualche euro per il Camembert. In realtà, se pensiamo alla quantità di scarto prodotto oggi da tutti i forni europei, le stime dicono che saremmo in grado di dare da mangiare a tutta la Spagna. Fortunatamente, da qualche tempo è stata approvata in Francia una legge che obbliga i supermercati a donare la merce invenduta ad associazioni caritatevoli, ma si tratta di un provvedimento recente e non è ancora abbastanza: circa un terzo del cibo prodotto al mondo diventa rifiuto, a quanto dice la FAO.
David Gross, chef attivista austriaco ideatore di Wastecooking, ha deciso di rovistare per cinque settimane tra i rifiuti di abitazioni, mense scolastiche, supermercati e centri di raccolta, attraversando Austria, Germania, Belgio, Olanda e Francia. Ha pensato poi di raccogliere le cinque testimonianze di riciclo alimentare in un documentario, proiettato in anteprima nazionale a Le Voci dell’Inchiesta sabato 16 aprile.
David viaggia a bordo di un’auto alimentata ad olio esausto e si porta dietro un cassonetto messo a nuovo, con piano cottura e utensili per cucinare lo scarto prodotto dagli altri. A Vienna, il punto di partenza del suo itinerario, ha aperto le dispense di un intero complesso di appartamenti, facendosi consegnare confezioni scadute e vasetti abbandonati nei meandri più reconditi del frigorifero: poche ore dopo, un banchetto era allestito nel cortile comune, sotto lo sguardo incredulo degli inquilini che avevano offerto i loro stessi scarti.
In Belgio, David ha convinto lo chef della mensa del parlamento europeo a riciclare gli avanzi del giorno prima, imbastendo un pranzo addirittura più gradito ai commensali. In Germania ha recuperato gli ortaggi di scarto delle grandi reti commerciali, quelli bitorzoluti e ammaccati che non ci piacciono, per cuocerli sul suo cassonetto e distribuirli ai passanti. Quelle stesse verdure imperfette, tuttavia, sono anche il nutrimento di una categoria di consumatori molto speciale: i vermi. In Olanda, per esempio, le carote che il supermercato non vuole vendere diventano il mangime di vermi da allevamento, che hanno già riscosso un notevole successo nella forma di polpette o biscotti.
David sembra non poterlo negare: fra qualche anno i ricettari di cucina non saranno più gli stessi.
Arriverà il momento in cui non crederemo più a zucchine e cavolfiori prodotti in serie, non ci concederemo più di comprare cibo in abbondanza per poi buttarlo via, e forse ci cureremo di più del fatto che, per riempirci le pance, immense distese di terreno vengono coltivate e irrigate ogni giorno per ottenere prodotti agricoli, e soprattutto quel foraggio di cui un animale si nutrirà per fornirci la carne. Arriverà il momento in cui ci penseremo due volte prima di disfarci di un ortaggio nodoso o di un frutto ammaccato, e sapremo abituarci a nuove forme, reinventandole in nuovi gusti.
Succederà. Se avremo voglia di uno spuntino sostanzioso per la merenda, opteremo per dei biscotti fatti in casa: farina, zucchero, una presa di sale e, perché no, qualche scaglia di verme. Sì, giusto per conferire al dolcetto un retrogusto di nocciola. Con il tempo, non ci sembrerà più una cosa strana: dallo spreco, produrremo cibo.

Grazie a Elena che dopo aver visto il film a CinemaZero ha pensato bene di farci avere questo suo gradito contributo

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Il dragone Komazzù

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01-FRANCENIGO-ARALT-01.jpgC’era una volta tanto tempo fa
un paese che non era ancor città
ma tentando di apparire bello e figo
pensò bene di chiamarsi Francenigo.

Or la sua gente onesta e laboriosa
davasi da fare sudando senza posa;
mal gl’incolse e un fato poco incline
appioppò loro a capoluogo Gaiarine.

palazzi_colCiononostante il paese prosperava
e accanto a case condomini edificava,
metricubi qua e là coglieva ogni occasione
di sfruttare fino in fondo la febbre del mattone.

Si disse che del senno a posteriori
si puote riempir fossi e rogge ulteriori,
fatto sta che il paesotto di una volta
ebbe crescita sgraziata e malaccorta.

Tagliata a mezzo dall’asfalto di una strada
percorsa e affollata da rombante masnada,
dileggiata negli anni da operette occasionali
dissagrata man mano nei suoi spazi vitali.

DSC_0494_webMa nelle brutte storie può capitar il peggio
se si unisce incapacità all’ottuso maneggio
e in un delirio di sconsiderata urbanizzazione
si onora il dio cemento con la cieca distruzione.

È l’apoteosi della ruspa e dello scavatore,Dragone_FFXI
evoluto dragone maligno e demolitore
il Komazzù trancia, sgretola, frantuma,
le mura del ricordo nella polvere consuma.

CatturaLe pietre antiche di una casa son punto di memoria
le sue radici danno saggezza, raccontano una storia
così cantava un menestrello di tempi andati

spiegandoci la suggestione di quei significati.

DSC_0512_webMa il Komazzù dilania, lacera, sbrana
cancella i residui della storia nostrana
rimpiazzandola con cieca e tonta indegnità
con qualsiasi opera spacciata d’utilità.

don-chisciotteOr di eroici cavalieri non vi è quasi più notizia
e anche in Francenigo dilaga l’imperizia
ma se la notte è più buia prima dell’aurora
è l’ora del riscatto di un futuro che rincuora.

accNoTexte686x400a298443_w423h270c1Rendiam domestico dunque il dragone ottuso
e della sua possente forza facciam oculato uso,
poiché sta scritto che chi cancella il suo passato
a riviverlo peggio poi nel futuro è condannato.

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Niutaun

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Hobbiton2-MainIl viaggiatore che arriva a Niutaun, prima di ogni altra cosa, è colpito dalla presenza della gente. All’inizio è sorpreso dal numero delle persone che incontra, a tutte le ore del giorno; poi comincia a intuire i fili che le legano e allora a sorprenderlo è la qualità delle relazioni.

Un bambino, a Niutaun, non ha mai lo sguardo smarrito; sa dove si trova e dove guardare per trovare occhi che lo rassicurino. Ogni abitante sente di non essere solo; anzi, la solitudine è ricercata talvolta come un piacere di cui godere liberamente.

Il viaggiatore, anche in mezzo ai suoni, alle voci e ai movimenti più confusi, sente che ogni cosa ha un suo posto e contribuisce alla ricchezza e alla qualità dell’insieme.

Niutaun non ha avuto origine da un progetto, inteso come qualcosa proposto da un élite illuminata che è stato applicato dall’alto alla città. Il viaggiatore che chiede come è cominciato il cambiamento che ha prodotto l’armonia attuale si sente rispondere in maniera sempre diversa: chi dice che tutto è iniziato da un gruppo di donne che scelseroo-PANE-MANI-facebook di fare il pane in casa con la farina proveniente da un’azienda agricola biologica sorta nelle immediate vicinanze; chi dice che fu il problema dell’acqua e la decisione di rifiutare le bottiglie di plastica, preferendo il filtraggio domestico; chi dice che il responsabile della rivoluzione è la prima famiglia che scelse di non avere l’automobile e che, dopo un periodo di compassionevole condiscendenza, scatenò la mania della bicicletta per i piccoli e quotidiani spostamenti.

Certo, i tempi del cambiamento sono stati lenti e non è possibile ricostruire la catena delle cause e degli effetti. Ogni scelta ne generò altre. Non solo. Una scelta fatta per senso di responsabilità verso le generazioni future ne generò altre fatte per tutelare i più deboli; una scelta fatta in nome della sicurezza ne generò altre che avevano come fine il gusto e la qualità della vita. Ciò che all’inizio stupiva, diventò abitudine, ma solo per preparare il terreno a nuovo stupore, a nuovi sguardi sul mondo e sulle cose, a nuove libertà.

freedomOgni generazione aveva un’idea diversa della libertà, ma il tempo ne ha fatta maturare una condivisa da tutti: la libertà di sentirsi utili, di ascoltare e di condividere, di servire.

Il racconto degli abitanti diventa un mito delle origini, dal quale emergono le figure eroiche ed esemplari di colui che tolse il sasso dalla strada affinché nessuno vi inciampasse o di quella persona che, di notte, imbiancò le pareti dei bagni pubblici.

Il viaggiatore ascolta curioso e, mentre riflette sulla capacità umana di mitizzare la realtà e la storia, è colpito dall’edificio più bello di Niutaun, un palazzo in cui evidentemente si sono impegnate le migliori energie, hanno collaborato le migliori menti e braccia, sono state utilizzate le più ampie risorse. Quando lo informano che si tratta della scuola pubblica, comincia a capire quale forza abbia permesso la nascita di Niutaun.

scuola2Se la scuola è l’edificio più bello significa che gli abitanti di questa città hanno scommesso sul futuro, sono stati capaci di puntare sulla pazienza e sulla profondità, anziché sulla gratificazione istantanea. Si racconta che il progetto della scuola nacque durante quella che è rimasta nella storia di Niutaun come la “notte dei desideri”: Non ci fu un’assemblea pubblicashooting_star_3 e neppure un consiglio comunale; accadde però che in molte famiglie, quella sera, si parlò dell’albero maestoso che era cresciuto nella piazza, quello che era chiamato “l’albero della comunità”. L’albero era nato da un seme di cui nessuno ricordava l’epoca ma cresciuto rigoglioso grazie alle cure che ogni cittadino gli aveva prestato, lungo i decenni, facendone il simbolo del bene comune.

albero-solitario,-cuore,-prato-verde-215430Quella sera, nelle case di Niutaun, tra le persone che avevano saputo custodire i desideri come fossero piccole fiammelle, nacque il desiderio più grande: quello di fare per i bambini, per i ragazzi e per i giovani di Niutaun quello che era stato fatto per l’albero più importante della città. Pensarono allora che la scuola doveva diventare il cuore della città, il luogo in cui si semina, si sogna, si fatica, si attendono i frutti che altri, forse, dopo di noi, coglieranno.

Il viaggiatore a questo punto solitamente si siede. Ascolta. Riflette. Si chiede perché nonbambini-girotondo ne avesse mai sentito parlare. Si domanda per quale motivo solo le brutte notizie si diffondano ovunque e rapidamente. Controlla l’annuario statistico dell’impero e scopre che i numeri c’erano sempre stati ma non li aveva saputi leggere, perché erano solo numeri oppure perché anche lui era condizionato a misurare il benessere con i soli dati economici.

solidariet_Si chiede ancora se Niutaun sia replicabile e come fare a diffondere il bene, a renderlo credibile e desiderabile. Si potesse misurare il benessere, la felicità, la qualità della vita! Eppure a Niutaun non si sono messi d’accordo; sono partiti da strade diverse contagiandosi lungo il cammino. I piccoli desideri sono diventati obiettivi, poi scelte, in seguito scelte misurate e condivise, contagiose. Le scelte quotidiane hanno prodotto nuove narrazioni collettive nelle quali hanno trovato spazio anche i grandi desideri e l’ambizione più alta: una città in cui ognuno, anche il forestiero, l’ospite, il viaggiatore e il rifugiato, si sentono a casa propria e liberi di obbedire allo stupore.

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La sovversione necessaria

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phpzLJANp2010La sovversione necessaria
Battaglie civili e impegno politico in Luigi Veronelli

Citazione dal libro: “Anarchia per me è la libertà dell’altro”
“Pensateci ragazzi. L’abbandono delle città, degli stabilimenti e il ritorno alla terra e al suo lavoro in condizioni ambientali, a volte difficili, a volte paradisiache, sempre di fronte al mare, alla campagna, ai boschi, ai monti.
Con una remunerazione individuale assai alta, data l’eccellenza dei prodotti terragni, ottenuti con mezzi artigianali, se non addirittura manuali. (…) Nei fatti, ogni uomo, in ogni parte del mondo, con leggi giuste, potrebbe vivere con il lavoro della propria terra.
Nella nostra patria – la patria è ciò che si conosce e si capisce – i contadini, sia piccoli proprietari, sia braccianti, potrebbero essere, per il favore del terreno e del clima, addirittura dei privilegiati”.

di Luigi Veronelli proponiamo di seguito uno straordinario articolo rivolto ai giovani ancora 17 anni addietro

“Che cosa può darvi un uomo della mia età se non i dati dell’esperienza? Solo oggi, più che settantenne, vedo con chiarezza: il potere ha utilizzato – con un vero e proprio capovolgimento dei propositi – ciò che era nei nostri sogni.

Anziché far l’uomo più libero con il progresso, la scienza, la macchina, la cultura ecc., renderne più rapido e sicuro l’asservimento. Ogni scoperta e ogni invenzione – nate tutte (oso credere) dal proposito di essere vantaggiose all’uomo – sono state deviate ed utilizzate, contro l’uomo.

schiavi del denaroBasta guardarsi attorno, con un minimo di senso critico e morale e ci si accorge che tutto, ma proprio tutto, viene attuato per renderci servi.

Un tentativo che – pur essendo tutt’altro che escluse le violenze e le atrocità dei vari fondamentalismi (sono tante le maschere, religione ed etnia in primis) – aggredisce l’uomo, con i mezzi suadenti delle comunicazioni di massa.

Chiaro ed orrifico il fine: non più individui, non più cittadini, non più un popolo, ma milioni di uomini e donne, senza volto né storia, servi.

Ripeto: la macchina del potere ha posto al proprio servizio gli uomini di lettere, di cultura e di scienza, i giovani “più in vista” e i politici.

Uomini di lettere, di cultura e di scienza. Comprati.

I giovani più in vista. Utilizzati come paladini dell’industria e del capitale, i migliori nello sport, nello spettacolo, nel trattenimento e nelle arti. Giovani che, per denaro esaltano – forse inconsapevoli – una programmazione omertosa.

I politici nazionali e no… La comunità europea – in cui avevamo pur posto speranze – ha emanato norme subdole e fintamente igieniche per metter fuori gioco, a favore di industria, conserve, salse, formaggi e salumi prodotti in modo artigianale, senza rischio reale alcuno da millenni.

1C8In modo più spettacolare e continuo, i mass-media, le pubbliche relazioni, le promozioni e la pubblicità. ad ogni ora del giorno, persuasori tutt’altro che occulti, esaltano ciò che dovrebbe civilmente essere condannato. Fanno consumare le stesse cose in ogni anglo del mondo, costringono a consumi non necessari anche i più poveri, impongono alimenti geneticamente manipolati di cui si ignorano gli effetti a tempo lungo sull’organismo umano – i cosiddetti alimenti transgenici, che propongono l’uniformità dei gusti – ed annullano il mutare delle stagioni.

Mi limito ai due prodotti-simbolo: la cocacola e l’hamburger (se diss inscì?), uguali – pensa te – in ogni luogo del mondo. Se vi sono una bevanda ed un cibo vecchi – che sentono e sanno di vecchio – questi sono proprio la coca cola e l’hamburger. L’uno e l’altra monotoni e statici. L’uno e l’altra tuttavia esaltati come fossero prediletti dai giovani, nel futuro dei giovani. Perché lo bevano e lo mangino – i giovani dico – gli debbono costruire attorno un “castello” (un castello? un finimondo) di pubblicità e promozioni plurimiliardarie…

I giovani prediligono – ed io vorrei esigessero – il nuovo e il diverso. Tutto nuovo e tutto diverso – spazio alla creatività – certo, ci viene da infinite evoluzioni, dalle millenarie lotte e sofferenze di uomini perseguiti, nuovo e diverso. I giovani si sono resi conto che la tradizione e la cultura sono non un piedistallo, bensì un trampolino di lancio. nuovo e diverso presentati con una serie di interventi critici, di note culturali e di provocazioni, così da esaltare proprio nel nostro sangue e nelle nostre idee, luci e coraggio.

Ho parlato di tradizione e di cultura. Un distinguo. Necessario.

Ciò che ci concedono e ci presentano i detentori del potere, con le immense possibilità di corruzione del denaro, anche quando ci viene presentato come cultura o peggio (peggio da che vi è il tentativo di maligna subornazione), come contro-cultura è, nei fatti, sottocultura. Noi siamo – e qui lo dico da anarchico – la cultura, per definizione sempre impegnata e nel domani.

Ineffabili e cinici mascherano il tutto con campagne puritane: opererebbero per la purezza e la salvezza del genere umano.

043751ad17a562cc2141f0ed50983169Nei fatti si rischia che la terra non basti agli uomini, perché l’industria e l’agricoltura industrializzata stanno desertificando e avvelenando i terreni con la ricerca, senza limiti, del profitto.

La tragedia del genere umano sta per giungere al suo compimento, proprio con la desertificazione, il degrado, la reale morte della terra. E’ terra la madre di ciascuno di noi, la terra singola, la terra da cui siamo nati, la terra che camminiamo, la terra su cui ci adagiamo, la terra di cui cogliamo i fiori spontanei ed i frutti, la terra degli olivi e delle vigne, la terra che coltiviamo di fiori, di frutta e di ortaggi, la terra che ci dà le raccolte, la terra su cui facciamo l’amore.

Sono stati così “capaci” e potenti da portarci al contrario di tutto. Il progresso anziché all’uomo dovrebbe servire al potere.

Proprio il progresso che ha l’imperativo categorico di distruggerlo, il potere.

disegno_ragazziSu quali giovani contare? Sui giovani coraggiosi, propositivi, dialettici, attenti ed esigenti.

Giovani che sappiano opporsi al capovolgimento dei fatti. Se i fatti denunciati sono veri – e non vedo alcuno che possa smentirmi – è necessaria e urgente – nessuna possibilità di rinvio – l’eversione e la sovversione. Cercano d’imporci – la suadenza, la musica, i comici, il cinema, quant’altro – le scelte quantitative. Tu, giovane, fai opera di eversione e di sovversione, esigendo per te e per i tuoi compagni, la qualità. Ho avuto modo, per la loro civile frequentazione, di conoscere meglio, tra i giovani, alcuni impegnati nei Centri Sociali e nei Circoli Anarchici. Li ho trovati coraggiosi, propositivi, dialettici, attenti ed esigenti.

Penso che siano i soli a poter svelare e rendere evidente agli altri giovani, il tentativo in atto contro di loro, in quanto contro la libertà della terra…

Il nostro avvenire, e quello dei nostri figli è in gioco, proprio – e in maniera più diretta di quanto si creda – sulle necessità prime del mangiare e del bere.

Non è affatto un caso che coltura e cultura abbiano identica etimologia. Coltura significa coltivazione del terreno. cambi la o in u, cultura, ed hai il complesso delle conoscenze intellettuali. “Il terreno arato non si distingueva da quello non ancora messo a coltura” leggi in Carlo Cassola. “Colui che ha cultura non è davvero tale se non è dominata, trasformata e assimilata dall’ingegno”, afferma Benedetto Croce.

Il progresso – lo vediamo in ogni fatto di cui ci occupiamo in modo sereno – è proprio coltura e cultura…

Voi potete essere i catalizzatori della riscossa, sia che vogliate assumere responsabilità nel nuovo sistema, sia no.

Giovani, ponetevi in modo critico di fronte al progetto di globalizzazione. Progetto che, nei fatti, è già in corso. Progetto che implica il ritorno di ciascuno che non abbia capitale alla schiavitù”.

(Ex Vinis, n. 43, ottobre/novembre 1998)

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Si è solo demolito

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Demolizione-Macelleria_1.jpg

Ho letto su FB (Insieme per il bene comune)  il vostro commento (del candidato sindaco Stefano Andreetta?) relativo all’articolo apparso sulla Tribuna di Treviso dell’8 c.m..

Sono rimasto allibito dalla frase” L’idea di sistemare i due incroci non è comunque sbagliata di per se (non c’è ancora il progetto, si è solo demolito)”

Con quell’inciso “si è solo demolito” voi avvallate l’operato dell’amministrazione in carica, cioè la demolizione di due fabbricati, che se pur disabitati da anni,  erano  identificativi di quel  poco di centro storico che ancora rimane a  Francenigo.

La logica, da voi accettata, che sta alla base di  queste due demolizioni magari mascherate  dalla scusa di  realizzare  un marciapiede o una piazzetta, è quella di “far posto” al traffico veicolare.

Noi abbiamo un’altra visione dei centri storici. Per noi debbono conservare la loro identità e le loro peculiarità urbanistiche, debbono diventare dei luoghi vivibili, possibilmente con poco traffico costretto, magari,  a diminuire la velocità (basterebbe girare l’Europa per capirne qualcosa di più).

Noi siamo per la difesa ad oltranza dei più deboli, anziani e bambini, che debbono diventare pedoni rassicurati, e se  saremo noi a governare questo comune, non avremo sicuramente bisogno, per difendere la loro incolumità, di demolire degli edifici e metterci   al posto di uno una rotonda  e al posto dell’altro il vuoto.

Mi chiedo se il non prendere posizione netta e contraria a queste  due demolizioni  non sia esattamente uguale all’obbiettivo  evidente che l’amministrazione uscente  voleva perseguire demolendo gli edifici  venti giorni prima delle elezioni: inseguire il consenso a tutti i costi anche distruggendo un paese.

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E giù che vada!

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Lunedì scorso, 5 maggio, il nostro paese ha subito una nuova e dolorosa amputazione.

Un mostro d’acciaio si è messo all’opera, alle sette e trenta del mattino, senza essere contrastato da nessuno.

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Con metodo, voracità e gustandosi ogni singolo pezzo, questa volta, pian piano si è divorato la vecchia macelleria Carrer.
In poche ore qualcuno ha cancellato un bel po’ di storia.

Pur essendo disabitata da anni, rappresentava ancora un angolo caratteristico del nostro paese, tra via per Sacile e via del Palù.

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Dagli anni sessanta e per molti anni successivi fu la macelleria di Edo Carrer, prima di lui vi abitavano i “munaret” una famiglia Busetto trasferitasi a Treviso.

Macelleria famosa in  tutto il circondario; era non solo apprezzata dai nostri paesani ma anche da persone che venivano dai comuni limitrofi.
Nell’arco di 20/30 chilometri dire “la macelleria di Edo Carrer” significava dire Francenigo.

La processione del Venerdì Santo, quando veniva ancora fatta, percorreva  un tratto di via per Sacile, entrava in via del Palù, costeggiando la macelleria,  transitava davanti alle scuole elementari, attraversava l’Aralt sull’attuale ponte e  ritornando verso la chiesa  percorreva un tratto di via dei Fracassi, passando davanti all’altra macelleria, quella “Simoni”.

Ed era gara. Gara di lumini a cera nelle carte colorate,  sia sulle finestre ma anche all’interno dei negozi  sui  banconi, uno sfarfallio di luci che illuminavano le carni  appese ed esposte come mai accadeva lungo tutto il periodo dell’anno.
La macelleria  di Edo Carrer con le due vetrine, che si affacciavano sulle due strade, partiva sempre avvantaggiata  permettendole di abbondare nella merce esposta e  di “giocare” con le luci.

Ora c’è il vuoto.

Il vuoto che attanaglia il cuore è  una strana sensazione.

Fa dolore, ma fa anche forza.

Mette in moto la voglia di contrastare questa tanto pubblicizzata “continuità” che se  avvenisse sarebbe portatrice  di altre stupidi, ingiustificati, inutili e costosi interventi.

Dobbiamo dire basta.

Vogliamo e dobbiamo cambiare questo modo di amministrare.

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Un altro angolo del mio paese se ne è andato

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Un altro angolo del mio paese se ne è andato, sacrificato sull’altare della campagna elettorale, per lasciare il posto ad un luogo senza  memoria.

In questo modo angoli di memoria che identificano il paese vengono abbattuti.

Pian piano il mio paese, Francenigo, si trasformerà soltanto in una strada, una strada dove circoleranno meglio e più velocemente gli automezzi e dove i pedoni e ciclisti saranno sempre più in difficoltà.

Così, facilitandolo,  avremo un aumento del traffico con relativo aumento dell’inquinamento e del rumore.

E’ vero: il mio amato  paese non è un bel paese e non solo perché la parte centrale è situata lungo una strada, ma anche perché lungo di essa  compaiono parecchi edifici disabitati, fatiscenti, che necessiterebbero di essere ristrutturati. Ma si sa che in tempo di crisi economica questo è alquanto difficile.

E allora che cosa c’è di meglio che abbattere un edificio e al suo posto fare una rotonda e magari abbatterne un altro e al suo posto farne un’altra; se poi questo serve a “prendere” qualche voto in più, meglio ancora.

Così  a poco a poco l’identità del mio amato paese sarà per sempre perduta ed esso assumerà definitivamente l’identità di una “superstrada”.

Il vuoto riempirà la memoria.

Ma io  ricordo e ricorderò per sempre quella casa, la casa di Bepi Campaner, l’ultimo “campanaro” di  Francenigo, abbattuta Giovedì 24 Aprile del 2014 sull’altare della campagna elettorale e di una visione miope del futuro.Angolo-via-dei-Fracassi.jpgAngolo-via-Molino.jpg

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