Evviva la propaganda

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Ogni morto, ogni caduto va, se possibile, ricordato, così come ogni esule.

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Ma l’istituzione del “Giorno del Ricordo” (10 Febbraio), legge voluta dalle destre e approvata nel 2004, non attiene alla sfera del ricordo ma ad un vero e proprio scopo politico di revisionismo storico con l’obbiettivo di avere una festa da contrapporre alla Festa di Liberazione.

D’altra parte l’Italia e conseguentemente l’italiani, brava gente, non hanno mai fatto davvero i conti con il fascismo e con i crimini che gli “italiani fascisti” hanno perpetrano per anni nei territori sloveni e croati annessi dopo il trattato di Rapallo del 1920, dove si giunse nel 1942 ad una vera e propria occupazione militare.

Solo per ricordare cosa fu quell’occupazione:
«Si ammazza troppo poco», e «Non dente per dente, ma testa per dente», raccomandavano nel 1942 i generali italiani Marco Robotti e Mario Roatta. Furono 200.000 i civili «ribelli» falciati dai plotoni di esecuzione italiani in Slovenia, «Provincia del Carnaro», Dalmazia, Bocche di Cattaro e Montenegro” (fonte Contropiano)

 Come non c’è stata mai una vera assunzione di colpa per le leggi razziali promulgate nel 1938 dal regime fascista e del conseguente sterminio degli ebrei italiani, anzi la colpa, piano piano gli italiani, sempre brava gente, l’hanno quasi completamente trasferita da Mussolini a Hitler.

Va ricordato, e lo esplicita molto bene Furio Colombo, (colui che propose la legge per l’istituzione del Giorno della Memoria celebrata il 27 gennaio di ogni anno come giornata per commemorare le vittime dell’ Olocausto, potete ascoltare l’intervista qui) che vi fu una grande differenza tra le tragedie dei Gulag e delle Foibe, e la Soah, nel senso che le prime due sono eventi subiti in parte anche da italiani, mentre la Soah (per la parte degli ebrei italiani) è una orribile tragedia perpetrata dagli stessi italiani.
Non è che i morti italiani, nei Gulag e nelle Foibe, valgano meno degli ebrei italiani, ma diversa è la responsabilità.
Per i Gulag la responsabilità è di Stalin, per le Foibe dei Titini, ma per persecuzioni e le uccisioni degli ebrei italiani e non solo, la responsabilità è tutta del regime fascista “italiano”.

Ora le destre tentano di fare l’operazione di mettere tutto sullo stesso piano piegando la storia a loro uso e consumo: vorrebbero accomunare i crimini fascisti con i crimini comunisti.
Ma, senza difendere il comunismo, bisogna ricordare che furono regimi comunisti stranieri ad ammazzare italiani, mentre fu il regime fascista italiano ad ammazzare italiani, sloveni, croatti, e che, mentre il comunismo non ha mai governato l’Italia, il fascismo l’ha governata per oltre vent’anni, portandola alla catastrofe che conosciamo.  

Se vogliamo diventare davvero “brava gente” dobbiamo fare i conti con le “nostre colpe” e lasciar fare agli storici veri e non a quelli del “10 febbraio” o di sabato scorso  le ricostruzioni degli eventi tragici che attraversarono il novecento, eventi che non vanno piegati per fini politici propagandistici.

Ora invece, anno dopo anno, in tutta Italia aumentano le iniziative di celebrazioni del “Giorno del Ricordo”, da parte di amministrazioni di destra, e forse anche di qualcuna di “sinistra” che non vuol essere da meno, proprio per nascondere o per meglio tentare di cancellare i crimini fascisti e conseguentemente sminuire la Festa della Liberazione e quindi la Resistenza da cui è nata la nostra Repubblica.

Anche l’amministrazione di Gaiarine si è collocata in questo filone e si annuncia ufficialmente e pubblicamente come Amministrazione di estrema Destra.
Qualche segnale, per chi avesse voluto vedere, era già giunto: l’ammaina bandiera europea, una celebrazione del 25 Aprile dove il sindaco attuale ha ricordato solo l’eccidio di Porzus, la cittadinanza al Milite Ignoto e ora l’intitolazione di un parco pubblico a “Parco Vittime delle Foibe”.

Sarebbe interessante conoscere le posizioni di qualche componente della maggioranza, solo per fare qualche nome, della De Zan o di Germano Scottà, o di Valentina Pezzin, in merito a questo evidente spostamento a “tutta destra”.

Per scendere dalle “chiacchiere” a fatti concreti, e quindi al parco mi vengono due considerazioni:
1. Mentre il sindaco chiede una maggior “partecipazione dei cittadini” (consiglio comunale del 10 febbraio 2022), alla attività di vigilanza per contrastare fenomeni di delinquenza comune sul territorio, l’amministrazione comunale senza nessun dibattito pubblico, senza sentire i cittadini, quindi la partecipazione dei cittadini è un optional strumentale che serve quando serve ma non serve quando non serve, decide di imperio di tramutare un parco pubblico adibito a gioco per i bimbi, in un parco politico, con un nome “Parco Vittime delle Foibe”, che è orripilante, non per le Vittime e neppure per quello che vorrebbe ricordare ma per il nome in se.
Ve lo immaginate: Dai mamma voglio andare a giocare al parco delle Vittime delle Foibe.

Che poi diventerà nel dire comune: “Parco delle Foibe”
Sono solo io che provo questo senso di tristezza?

E lo fa nell’ombra, quasi di nascosto, con una delibera di giunta fatta il 26 di Agosto (vi ricordate le leggi del parlamento fatte ad Agosto quando tutti sono in ferie? in genere foriere di guai per i cittadini).
Una questione come questa andava, come già detto, resa pubblica ed il luogo deputato a rendere pubbliche le decisione dell’Amministrazione è e resta il Consiglio Comunale, il massimo sarebbe stato coilvolgere direttamente la cittadinanza, nelle sue più varie componenti.

Quindi se si voleva non nascondere questa decisione, si doveva almeno portare la delibera in Consiglio Comunale, dando luogo ad una necessaria trasparenza e ad un minimo di dibattito.
Ricordo, a questi nostri amministratori, che essi pur non essendo l’espressione della maggioranza dei cittadini del comune ma solo del 40,43 dei votanti, dovrebbero coniugare le varie sensibilità della cittadinanza e non solo quelle della loro parte politica, soprattutto se certe scelte non sono contemplate nel loro programma elettorale.

Ma forse questi nostri si sentono tenutari di un potere assoluto, o forse devono pagare scotto ai loro supporter politici Lega e Fratelli d”Italia.

In ogni caso la delibera di giunta, che potete leggere qui, parte da un presupposto non del tutto vero, in quanto l’affermazione contenuta in premessa “il via 8 marzo a Gaiarine esiste un’area di verde pubblico, dedita a parco, che risulta essere priva di denominazione” è una affermazione perlomeno equivoca.

Quel parco è nato all’interno del Piano di Lottizzazione denominato “Parco Castellir”, dal toponimo di quel luogo.
Orbene, secondo voi, come dovrebbe chiamarsi un parco che si trova all’interno di quella Lottizzazione? Perché quella lottizzazione è stata denominata Parco?
Non è che ci voglia l’amministrazione dei “migliori” per capire che quel parco aveva come nome intrinseco “Castellir”. O no?

Le “Foibe” nel nostro comune non ci sono, ma il toponimo “Castellir” è presente nelle vecchie mappe del comune di Gaiarine.
Alla faccia del rispetto delle nostre radici e tradizioni.

C’è poi una questione di sicurezza che secondo me non andrebbe sottovalutata.
La presenza di quella “croda” all’interno del parco adibito anche a giochi di bimbi può essere foriera di incidenti.
Sicuramente sarà “scalata” da più di un bimbo.

2.  A proposito di rispetto.
La lottizzazione “parco Castellir” è una lottizzazione innovativa, pensata prima di tutto come parco sul quale gravitano guarda caso delle abitazioni, una fruizione “diretta” del verde per gli abitanti di quelli edifici e dei i loro figli.
E questo è merito indubbiamente del progettista architetto Giambattista Zaccariotto ma anche della famiglia Zorzetto, la committente, che ha condiviso talmente le scelte progettuali che per rendere il complesso fruibile secondo questa innovativa idea dell’abitare, ha ceduto al comune e urbanizzato aree non dovute.
Orbene si debbono rispettare tutte le persone, e non ci sono cittadini di serie A o di serie B, ma a questa famiglia che “qualcosa in più” ha dato al Comune di Gaiarine non era forse giusto chiedere un parere in merito o perlomeno metterla al corrente delle intenzioni   dell’amministrazione?
Sempre per quel senso di rispetto che si deve avere per le “persone giuste”.

Cosa dovrebbe fare a questo punto una amministrazione “intelligente”?
1. Spostare il monumento nell’area verde, sufficientemente ampia e non frequentata dai bimbi, che si trova entrando nella lottizzazione sulla destra.
2. Cambiare la targa e scrivere “In ricordo delle Vittime delle Foibe”.
3. Riportare il nome del Parco al suo nome originario “Parco Castellir”, istallando anche un cartello illustrativo.

E tutti vissero felici e contenti.

P.S. Nel caso  non venisse seguito il suggerimento di cui sopra: nei pressi dell’abitazione dell’Assessore Gottardi, sicuramente uno dei “King Maker” di questa operazione, mi dicono esserci un’area pubblica.
Gli fate anche voi la stessa domanda che gli faccio io?
Perché non ….

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Ad Andrea che non conosco

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Ho letto il tuo post su “sei di Gaiarine se”  relativo alla giornata ecologica tenutasi il 18 aprile scorso,  che qui riporto:

« Oggi all’una si è conclusa una bellissima esperienza, la giornata ecologica.
Con mio “stupore” (anche se un po’ me lo aspettavo) ho notato che la maggior parte degli ecologisti da tastiera non erano presenti. Tutti sono bravi a far polemica sui social ma poi quando bisogna sporcarsi le mani si sta meglio sul divano oppure davanti… ad una tastiera.Buona giornata a tutti quanti. »

Posso dire di essere rimasto sconcertato, sbalordito e rattristato.
Poi per giorni mi sono ritornate in mente le tgiovani-dentroue parole e molte volte mi sono chiesto come mai un   giovane ( non ti conosco ma così appari nel profilo facebook), dopo aver partecipato volontariamente (è così vero?), quindi decidendo lui di andarci, ad una giornata ecologica di raccolta rifiuti, scriva un post del genere.

Mi sono chiesto: che cos’è che lo turba? Quali rancorose ragioni si sono sclerotizzate
nei suoi pensieri che lo portano a emettere giudizi su altri non presenti?

Naturalmente non conoscendoti non posso darmi questa risposta.
Allora potrei chiedertelo direttamente: cos’è che ti turba?
Ma essendo un domanda molto personale so che sarà difficile ottenere la risposta.

Però la mia curiosità e il mio meditare sul tuo post non si è fermata a questo, ma ha fatto nascere in me una serie di considerazioni, di domande (più generali) e un’analisi degli eventi che hanno preparato questa giornata ecologica, che vorrei esporti.

Il primo “lampo” che ho avuto è stato Gino Bartali.
Sai chi è?bartali1 Si, sicuramente si. Un grande ciclista. Lo sanno tutti.
Ma forse quello che non sai, o forse si, è che è un uomo che è stato dichiarato da Israele “giusto tra i giusti”  per aver contribuito a salvare, durante l’occupazione nazista-fascista dell’Italia, moltissimi ebrei e tanti antifascisti.
Ti chiederai cosa c’entra Gino Bartali. C’entra, eccome se c’entra.
Vedi Gino Bartali, che ha salvato centinaia di uomini (qualcosa di più della raccolta di un po’ rifiuti), a chi gli chiedeva come mai avesse mantenuto il segreto su questa sua attività che aveva salvato così tante persone, disse: « il bene si fa ma non si dice ».
E allora, ti prego, se fai una cosa giusta, non vantartene, non metterti in mostra, vedi di farne un’altra di cosa giusta.
Ma soprattutto se fai una cosa giusta perché senti che è giusto farla, « non guardare cosa fanno gli altri » (questa è una mia di frase), falla e basta.

Tu dici: « Con mio “stupore” (anche se un po’ me lo aspettavo) »
Per fortuna che in questa tua frase c’è questo inciso: “se un po’ “, altrimenti potremmo esserci trovati di fronte ad un nuovo Mago Otelma, e si sa quanta necessità ci sarebbe, in questi difficfuturoili momenti (pandemia), di qualcuno che sappia prevedere il futuro.
Ma a parte le battute, mi viene da chiederti: ma come mai “te l’aspettavi”? Quali indizi hai avuto? Quali considerazioni hai fatto? Quali dritte si sono state date per sapere che gli “ecologisti da tastiera” non sarebbero stati presenti?

Tu dici “ho notato che la maggior parte”.
Ti chiedo: come hai fatto a “notare”?
Se non vado errato, la “giornata ecologica” si è svolta in questo modo: in ogni frazione si sono suddivisi i partecipanti in squadre, ad ogni squadra sono state assegnate delle vie, in ogni via si è stabilito un punto di partenza che era anche il punto di arrivo.
Quindi ogni squadra si è mossa nelle vie assegnate fino a ritornare al punto di partenza, dove ognuno dei partecipanti ha consegnato “il bottino” (i rifiuti raccolti); poi liberi tutti.
Non c’è stato quindi un momento in cui tutti i partecipanti si sono ritrovati insieme.
Pertanto tu non hai potuto “notare” visivamente la mancanza di questo o di quello.
Delle due l’una. O ti sarai letto uno per uno i componenti (75?) del gruppo whatsapp, creato per l’occasione, con violazione della privacy, ma i partecipanti alla giornata, sono stati 125 (dati ufficiali) e allora come hai potuto “notare” che mancava questo o quello?, oppure ti e stato detto da qualcuno, che ha “notato” per te, che mancava tizio, caio e sempronio, sempre che tu non glielo abbia chiesto espressamente.
Quindi oltre alla raccolta dei rifiuti, l’altra grande soddisfazione della giornata, e forse a questo punto non solo per te, è stata quella di fare “gossip” sugli assenti.
Viva la “giornata ecologica”.
Sgombriamo subito il campo. Io non c’ero, anche se avrei voluto esserci. Come non c’erano molti dei soci di Amica Terra, ma le motivazioni, e senza adombrare scuse, della nostra assenza le vedremo in seguito.
Qui mi preme far presente ancora le tue parole “la maggior parte”.
Questo davvero dimostra che tu sei a conoscenza di quali e quanti sono gli “ecologisti” del comune.
Molto bene. Come socio di Amica Terra ti chile-liste-di-proscrizione (1)edo ufficialmente e per favore di passarmi questa lista.
Come associazione potremmo approfittarne per fare qualche nuovo socio.
Almeno questa “schedatura” o “lista di proscrizione” sarà servita a qualcosa.

Tu dici “Ecologisti”
Mi ha colpito molto l’uso di questo termine dato che il suo utilizzo è inusuale, anche perché il suo significato è più specifico rispetto al solito “ambientalisti”.
Termine quest’ultimo che normalmente viene usato in modo dispregiativo da coloro, comprese certe parti politiche, che vogliono denigrare chi si batte per la salvaguardia dell’ambiente.

Sarei curioso di sapere come mai non si ti sei adeguato a questo luogo comune.
Forse una finezza stilistica?

Tu dici “Ecologisti da tastiera”.
Quindi tu, per il solo fatto che tutti quelli, che tu pensi essere gli “ecologisti” del comune, secondo la schedatura di cui sopra, non hanno partecipato a questa benedetta giornata ecologica, sono diventati tout court “ecologisti da tastiera”.43763001_1842720505845633_3123406801559617536_n
La prima cosa che mi viene da dirti è che sarebbe eticamente corretto fare i loro nomi e cognomi. Ma tu non ci dici chi sono. Lanci il sasso e nascondi la mano.
Di costoro ci dici solo che sono “ecologisti da tastiera” che però se non l’adoperano stanno seduti sul divano, mentre si sottintende che gli altri, possiamo aggiungere i bravi (tu), faticano e sudano si sporcano le mani a raccogliere rifiuti.
Se li chiami “ecologisti”, vuol dire, che nel tu io, riconosci, implicitamente per lo meno, una loro aspirazione, poi tramutata, per il solo fatto di non aver partecipato alla giornata ecologica, in dei sedentari “divanisti” che se ne sbattono dell’ambiente, dei rifiuti, ecc.
Ma tu, che conosci i loro nomi (io no) potresti aver dimenticato il loro passato, potresti non sapere   cosa potrebbero aver fatto per la tutela e la salvaguardia dell’ambiente nel nostro comune e magari anche per la frazione di Campomolino, o potresti non sapere cosa stanno facendo ora.
Ricordandomi di Gino Bartali, che deve essere un esempio per tutti, passo oltre.

Tu dici ” Tutti sono bravi a far polemica “
Penso, non so se sbaglio, che tu ti riferisca a “polemiche” relative all’ambiente e inerenti il nostro comune.
Beh, sarei proprio curioso di sapere a quali ti riferisci e fatte da chi.
Anche qui lanci un sasso e bascondi la mano.
Personalmente mi pare che le pagine social relative al nostro comune non brillino proprio per “polemica”, intesa come “controversia, piuttosto vivace, su argomenti letterarî, scientifici, filosofici, politici, ecc.” (definizione Treccani).
Siamo subissati da foto di tutti i tipi e pubblicità varie, qualche informazioni utile, qualche bel intermezzo storico, tutto qui.
Magari ci fossero confronti seri fatti in modo civile che contribuirebbero a far crescere culturalmente questo comune, sia sull’ambiente che su altri aspetti.

Mancata presenza di Amica Terra alla giornata ecologica.
Quella che segue non è una giustificazione, non abbiamo, riconosciuto l’errore fatto, la necessità di giustificarci e quindi questa assenza non è un’onta da lavare col sangue per una associazione che da oltre venticinque anni ha fatto e fa “qualcosa” per l’ambiente, nel nostro comune e non solo.

Va detto, infatti, che il fare qualcosa per l’ambiente è un’opera che si costruisce giorno dopo giorno, con la costanza del proprio impegno, con i propri comportamenti, con i propri consumi, con il rispetto anche di tutti gli altri esseri viventi, con l’incentivare un cambiamento culturale dei singoli e di chi ci governa, con difendere il proprio territorio anche attraverso denuncie alla autorità preposte per la sua tutela e non facendo finta di non vedere.
Tutte cose che i soci di Amica Terra cercano, e sicuramente con fatica, di attuare giorno dopo giorno.
Anche tu vero?
Devi fartene una ragione, non è sufficiente “partecipare” ad una giornata ecologica, per diventare un “ecologista”, ci vuole ben altro.
Veniamo ai fatti. Ad inizio marzo il nostro coordinatore nel comunicare al sindaco l’adesione dell’associazione alla giornata ecologica, veniva invitato a inviare le liberatorie per i singoli partecipanti.presenza
Mentre alcuni soci davano l’adesione singolarmente (quindi alcuni nostri soci erano presenti) le liberatorie degli altri per un disguido avvenuto all’interno dell’associazione non furono mai inviate al comune.

Sia ben chiaro che questo errore è un errore nostro e non di altri.

La giornata ecologica, con un post su facebook del 15 marzo, fu rinviata dall’amministrazione dal 21 marzo all’11 aprile, poi silenzio tombale: nessuna altra comunicazione ufficiale, non nel sito del comune e neppure nella pagina facebook.
Personalmente ho continuato a monitorare il sito e facebook per avere notizie in merito, ma niente.
Abbiamo saputo, solo ultimamente, che coloro che avevano dato l’adesione a marzo erano stati inseriti in un gruppo whatsapp ( non tutti ?) e il comune comunicava con loro con questo strumento.
Così furono avvisati dello spostamento della giornata ecologica dal 11 aprile al 18 aprile.
Orbene pur consci del nostro errore iniziale – il mancato invio delle liberatorie – mi chiedo e chiedo se la comunicazione fatta dal comune in questo frangente sia stata adeguata e corretta.
Io penso di no.
Una prima osservazione la faccio sugli strumenti utilizzati.
Il comune è una istituzione, ha un sito istituzionaleobbligo di legge – e una pagina facebook.
Io cittadino dove dovrei trovare le informazioni, le notizie, relative alla vita della comunità?
Tutto quello che mi interessa lo dovrei trovare sul sito del comune.
D’altra parte, tra le altre cose, esiste sul sito una sezione eventi, e li avrei dovuto trovare anche lo spostamento della “giornata ecologica”.
Non avere inserito li la notizia è un errore da parte dell’amministrazione comunale, e secondo il mio parere anche grave.
Poi il comune ha in facebook la sua la pagina ufficiale, che non può essere, a norma di legge considerata pagina istituzionale, ma semplicemente un corollario informativo utilizzato oggi, nello stesso modo, da tante amministrazioni comunali.
Neppure in tale pagina, usata dall’amministrazione molte volte come procacciatrice di consenso, vi è stata la comunicazione dello spostamento.
Risultato: solo chi si era iscritto a marzo poteva sapere quando si fosse tenuta la giornata ecologica essendo stato avvisato sicuramente tramite whatsapp o con, si presume, un passa parola, il resto della cittadinanza è rimasta all’oscuro.

Una seconda considerazione.
Se a marzo vi era  un certo numero di aderenti – gruppo whatsapp + altri – e la data dell’iniziativa viene spostata di un mese, in questo ulteriore tempo a disposizione verrà fatta nuova pubblicità dell’evento per avere un maggior numero di adesioni, o no?
Questo non è stato fatto, neppure con un volantino.

Quanto sopra potrà servire a chiarire, capire, meditare, ragionare, migliorare?
Non lo so, ma sicuramente è quanto ti dovevo in risposta al tuo post.

Sempre a tua disposizione.

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Una foto eloquente.

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Piazza-Scuola-Elementare-FrancenigoQuesta foto potrebbe essere assunta come simbolo del nostro interesse, della nostra attenzione, del nostro amore per gli alberi?

Sicuramente si, ma in senso contrario.

Quest’albero, in vaso, davanti alla scuola elementare di Francenigo, morto forse da qualche mese, dimostra in modo emblematico la noncuranza di noi esseri viventi (animali), verso altri esseri viventi, i vegetali.

Questo povero albero è passato dalle luci della ribalta (natale) alla completa invisibilità della sua morte estiva.

Nessuno se n’è accorto.
Non l’amministrazione comunale (sindaco, assessori, consiglieri).
Non coloro che fanno la manutenzione del verde.
Non il dirigente scolastico o il personale scolastico. Tra poco si riapriranno le scuole e qualcuno avrà fatto qualche sopraluogo nei plessi scolastici o no?
Non i molti clienti dell’edicola che si affaccia su questa piazza.
Non gli ambulanti che ogni mercoledì, da un paio di mesi, danno vita, lì, al mercatino e non  i loro clienti.
Non le centinaia di persone che hanno parcheggiato nella piazza o per questa hanno transitano per andare in chiesa, in banca, dal panettiere o al bar.
Nessuno se n’è accorto.

Quest’albero morto sta lì emblema della nostra cecità, della nostra indifferenza, della nostra insensibilità.
Gli alberi non li vediamo né da morti né da vivi
Da vivi al massimo ci accorgiamo della loro esistenza quando in autunno lasciano cadere le foglie che ci coprono i marciapiedi, o quando durante un forte temporale qualche ramo finisce sulle auto, o quando cadendo causano drammi come quello di questi giorni (due sorelline morte a Massa Carrara).
In altre parole ci accorgiamo di loro solo quando in qualche modo ci danneggiano.

« Nessuno tiene in considerazione il fatto che sono vivi e neppure il loro fondamentale ruolo nell’ecosistema cittadino, che consiste tra l’altro nel ripulire l’aria dai principali inquinanti, drenare l’acqua piovana, mitigare la temperatura urbana, ombreggiare le strade e le case, ospitare la pochissima fauna rimasta » (tratto da Flower Power di Alessandra Viola).

E così, la nostra cecità, la nostra indifferenza, la nostra insensibilità, la stessa che non ci ha fatto vedere un albero morto nella piazza forse più frequentata del paese, ha permesso, in questi anni, nelle nostre campagne, per far posto ai vigneti ed a coltivazioni intensive, uno sterminio di massa di migliaia di alberi (siepi, boschetti), esseri viventi necessari alla nostra stessa vita.
Alberi che insieme agli altri vegetali, tutti esseri viventi, hanno permesso, producendo ossigeno, la vita così come la conosciamo sul pianeta terra e senza i quali la stessa scomparirebbe.

Ebbene, cosa abbiamo fatto tutti noi per fermare, in questi anni, questo sterminio, questa distruzione?
Nulla.

Domani sicuramente questo povero albero morto sarà tolto dalla piazza delle scuole elementari di Francenigo. Finalmente.
E noi cosa faremo?
Aderiremo al progetto “Ridiamo un sorriso alla pianura Padana” piantando 10 piante nel giardino di casa mettendo così a tacitare le nostre coscienze?
Oppure, insieme a questo, cambieremo la percezione di quello che sta intorno a noi?
Prenderemo coscienza che abitiamo la stessa “casa comune”?
Da domani riusciremo a “vederli” questi alberi, morti o vivi che siano?

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Api e dintorni

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Si sa che le api trasportano il polline e fecondano la parte femminile del fiore.
Da questa fecondazione deriva la fruttificazione delle piante.
Questa loro attività, chiamata impollinazione, garantisce una parte, per non dire che è alla base, della produzione agricola.

Le api, quindi, vengono considerate indispensabili per l’impollinazione.
Ma anche per salvaguardia dell’ambiente. E anche per la verifica della sua salubrità.

Vi sono, però, anche altri insetti pronubi che danno vita all’impollinazione di colture da reddito e specie spontanee.
Fra questi grande importanza rivestono quelli chiamati “api selvatiche”.DSC_0195
In Italia presenti con più di 500 specie (es. bombi, osmie, megachili, xylocopa etc.).

A queste si aggiungono altre numerose specie di insetti appartenenti agli Ordini dei Lepidotteri (farfalle), Ditteri (sirfidi) e Coleotteri (coccinelle, maggiolini, scarabei, ecc.) e diverse specie di Imenotteri con famiglie vicine a quella delle api, come le vespe.

Effettuano l’impollinazione anche altri invertebrati diversi dagli insetti, come gli acari e i ragni.
Inoltre, gli zoologi stimano che almeno 1.000 specie del gruppo dei vertebrati svolgano questa “benefica attività
E si ritiene che il 9% di tutte le specie di uccelli e mammiferi sia un impollinatore.
Tra i mammiferi i pipistrelli sono i pronubi più attivi.
Tra gli uccelli impollinatori rientrano i colibrì.

Questi citati appartengono agli “impollinatori selvatici“, che assieme alle api “domestiche” fanno si che quasi il 90% delle specie di piante da fiore selvatiche della terra, insieme a oltre il 75% delle colture alimentari del mondo e al 35% delle terre agricole globali, dipendano, interamente o almeno in parte, dalla loro attività di impollinazione.

Tant’è che la produzione agricola mondiale direttamente associata all’impollinazione animale rappresenta un valore economico stimato tra 235 e 577 miliardi di dollari.
Secondo il Terzo Rapporto sullo Stato del Capitale Naturale in Italia (Comitato Capitale Naturale, 2019) la valutazione economica del servizio di impollinazione delle aree agricole italiane è pari a circa 2 miliardi di euro l’anno.

Ma le api stanno scomparendo e con esse molti degli impollinatori selvatici citati.
La situazione è a dir poco drammatica.

Attualmente, i tassi di estinzione delle api sono da 100 a 1.000 volte più alti del normale.

Quasi il 35% degli impollinatori invertebrati, in particolare api e farfalle, e circa il 17% degli impollinatori vertebrati, come i pipistrelli, affrontano un grave processo di estinzione a livello globale.

L’estinzione degli impollinatori è causata sostanzialmente dalle attività dell’uomo, soprattutto legate:
- alla distruzione, degradazione e frammentazione degli habitat dovuti al passaggio all’agricoltura intensiva, alla deforestazione;
-  all’inquinamento da agenti chimici dovuto all’uso massiccio di pesticidi e fertilizzanti, oltre che da altre forme di inquinamento;
- ai cambiamenti climatici.

Degrado e scomparsa di habitat che sono quindi le maggiori cause di perdita complessiva di biodiversità a livello mondiale e conseguentemente una delle minacce principali anche per le popolazioni di impollinatori

Ed ecco che tutti ne parlano. E’ di moda parlarne. Sia a livello globale che a livello locale.

Tutti dicono di voler far qualcosa.

A fronte delle tante parole pronunciate su questo drammatico problema e delle “buone” intenzioni   manifestate, che però non hanno prodotto significativi cambiamenti è emblematico l’audit pubblicato dalla Corte dei Conti Europea il mese scorso.

SR_Pollinators_IT-1Secondo questa relazione gli impollinatori selvatici non sono stati protetti dalle misure adottate dall’Europa, tant’è che le strategie attuate per aumentare entro il 2020 la biodiversità si sono dimostrate ampiamente inefficaci e la biodiversità ha continuato a diminuire.
La Corte ha sottolineato anche come le principali politiche dell’UE, tra cui la politica agricola comune, non contemplano vere e proprie azioni per la protezione degli impollinatori selvatici e come, anzi, le normative UE in materia di pesticidi rappresentino proprio una delle cause della perdita degli impollinatori selvatici

Segnala, anche, come le normative in materia di pesticidi non siano in grado di offrire misure adeguate per la protezione degli impollinatori selvatici e che pur prevedendo misure di protezione per le api mellifere, le valutazioni dei rischi si basano su criteri non in linea con le più recenti conoscenze scientifiche.
Sottolinea, altresì, come l’UE abbia consentito agli Stati membri di continuare ad utilizzare pesticidi ritenuti responsabili di ingenti perdite di api mellifere, concedendo ben 206 autorizzazioni di emergenza, tra il 2013 e il 2019, permettendo l’uso di tre neonicotinoidi (imidacloprid, tiametoxam e clothianidin), sebbene fossero soggetti a restrizioni sin dal 2013 e l’impiego all’area aperta fosse vietato dal 2018.

Al punto che oggi l’impollinazione risulta una delle attività più degradate negli ecosistemi europei.

La Corte conclude la sua relazione con tre raccomandazioni per la Commissione Europea che quindi dovrebbe:
- valutare l’opportunità di integrare, nelle azioni e nelle misure di follow-up relative alla strategia dell’UE sulla biodiversità fino al 2030, azioni volte a contrastare le minacce di cui l’iniziativa a favore degli impollinatori non tiene attualmente conto;
- integrare meglio azioni volte a proteggere gli impollinatori selvatici negli strumenti strategici dell’UE relativi alla conservazione della biodiversità e all’agricoltura;
- migliorare la protezione degli impollinatori selvatici nel processo di valutazione dei rischi legati ai pesticidi.

La conclusione è che tutti dicono di voler far qualcosa, compresa la UE, a parole però, perché di fatti concreti in difesa degli impollinatori finora se ne sono visti pochissimi, e non bastano iniziative spot che fanno solo immagine, la situazione è molto più grave e non si risolve con 4 o 8 alveari in più messi da qualche parte, come vorrebbe fare il comune di Gaiarine.

Bisogna arrivare al cuore del problema, mettere in discussione l’agricoltura intensiva, proibire l’uso dei pesticidi ed avviare la transizione verso l’agricoltura biologica.

A tal proposito ricordo che è in corso una campagna europea dal nome “ Salviamo Api e Agricoltori!” a cui si può aderire utilizzando questo link: https://www.savebeesandfarmers.eu/ita/

Purtroppo il modello attuale di sviluppo agricolo e anche quello industriale insieme al nostro stile di vita sembra continuare la sua corsa
Stoppato dal Covid19, ora cerca di ripartire il più fretta possibile e cerca di aumentare la sua velocità per recuperare “il tempo” perduto.
I buoni propositi fatti da più parti per ricercare una via alternativa al nostro modo di procedere per evitare di finire nel “barato”, sono improvvisamente venuti meno di fronte alla folle necessità di far ricrescere e riportare il PIL ai valori pre Covid19.
Non vorremmo che anche le raccomandazioni della Corte alla Commissione Europea finissero per diventare lettera morta, aldilà del tanto sbandierato Green New Deal.

 « ogni cosa sembra dire che verrà un giorno in cui, di progresso in progresso, l’uomo soccomberà annientato dagli eccessi di quella che egli chiama civiltà. Troppo indaffarato a fare Dio, non può sperare nella placida longevità degli animali, che si tratti di una falena affamata o di un virus microscopico».
Jean Henri Fabre (1823 – 1915) , uno dei padri della entomologia

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Caro Faccin ti scrivo… e siccome sei molto “lontano” più forte ti scriverò.

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Premessa.
Ti scrivo come semplice cittadino, e naturalmente mi prendo la responsabilità personale di quello che scriverò.

Ho letto con molta attenzione il tuo post del 2 maggio, che qui riporto, sulle “regole di convivenza” dopo le proteste fatte tramite Facebook da alcuni cittadini del nostro comune che si sono lamentati perché sono stati “irrorati” mentre, il 1° maggio, pranzavano all’aperto nella loro proprietà:

«Tenendo presente le poche occasioni per inderrogabili necessita’, invito gli agricoltori ad evitare trattamenti senza il controllo della deriva in orari dove la gente è a pranzo o a stretta vicinanza alle abitazioni o ancora nei giorni festivi.
In questi giorni di COVID, quindi con ancor più gente a casa, vi chiedo di porre doppiamente attenzione, con la consapevolezza che la vigna è importante per tutti, non solo per la fonte di reddito che produce, ma anche identitaria del nostro territorio che, tutti assieme, abbiamo il dovere di preservare.
Con il buonsenso ritengo ci possa essere convivenza delle esigenze di tutti, no?
Colgo l’occasione per avvisare la comunita’che stiamo lavorando, assieme ad altri comuni, ad un piano di polizia rurale dove ci saranno regole chiare di rispetto civile ed ambientale per tutti noi, noi non abbiamo responsabilità se il nostro Comune manca del piano da SECOLI!
Appena pronto andremo a presentarlo a tutti mediante apposite riunioni pubbliche.
Nel frattempo vi invito ad usare BUONSENSO e le vec
chie regole DEL BUON PADRE DI FAMIGLIA, staremo tutti meglio!
Giusto Faccin
Consigliere con delega all’Agricoltura
»

Non posso di fronte a questo tuo post, che trovo pieno di retorica stantia, non dire la mia e cercare di spiegare, se ci riuscirò, a chi legge anche una serie di questioni sulle quali forse non hanno mai ragionato.

In questa saga io e te saremo alle volte personaggi immaginari, alle volte reali.

Capitolo 1. Giustizia
bicchiere Ammettiamo che io sia un tuo vicino e che così, per schiribizzo, un giorno mi salti in testa di gettare nella tua proprietà un bicchiere d’acqua, solo l’acqua, non il bicchiere e tra l’altro acqua pulita.
Di fronte a questo mio gesto, che viene ripetuto a distanza di qualche giorno, pur se tu mi hai intimato di non farlo più, mi minacci con lo spauracchio di una denuncia.

E si potresti denunciarmi. Troveresti, nel codice civile e penale, vari articoli a cui appellarti: per atti emulativi, cioè quei comportamenti che non hanno nessuna utilità per chi li fa ma hanno lo solo scopo di nuocere a chi li riceve, oppure per violazione di domicilio, o ancora in base all’articolo 674 del codice penale che punisce chiunque getta o versa, in un luogo di pubblico transito o in un luogo privato ma di comune o di altrui uso, cose atte a offendere o imbrattare o molestare persone.
Potresti anche spingerti a denunciarmi per violenza privata, turbativa violenta del possesso di cose immobili, danneggiamento, o per qualcos’altro.

E con un bravo avvocato, ma forse ne basterebbe anche uno mediocre, potresti riuscire a farmi perfino condannare.

Orbene, tu che sei un viticoltore (è per fare un esempio, ma guarda caso sei anche un viticoltore, e anch’io mi occupo di un piccolo vigneto naturalmente a coltivazione biologica) usualmente getti nelle altrui proprietà confinanti -a partire dal mese di aprile e fino ad inizio agosto ogni, diciamo, 10 giorni, la frequenza dipende dai prodotti utilizzati e dall’andamento climatico-, sottoforma di goccioline, acqua non pulita, contenente, a meno che tu non faccia viticoltura biologica (non mi sembra), un bel po’ di pesticidi, cioè acqua contenente sostanze tossiche addirittura in qualche caso potenzialmente cancerogene

Queste “goccioline” che hanno una notevole capacità di allontanarsi dalla fonte di emissione (macchina irroratrice) e che sono in grado di percorrere decine se non centinaia di metri (si chiama deriva) potrebbero tranquillamente finire sull’orto del vicino o su un giardino magari di una famiglia con bambini, o addirittura finire la loro corsa all’interno di una casa, se quella fosse abbastanza vicina e avesse le finestre aperte.

Come potrei, io tuo confinante, difendermi.

Potrei spostare l’orto, ma non ho un altro posto in cui collocarlo, potrei non mandare più i bambcasaini a giocare in giardino, cosa che ormai faccio abitualmente, o chiudermi in casa, come faccio ormai da tanti anni.
Ah si potrei denunciarti.
Potrei usare gli stessi articoli che avresti usato tu per denunciare il mio gesto (bicchier d’acqua), ma non avrei sicuramente, dopo aver speso una montagna di soldi, la tua stessa possibilità di vincere la causa.

Perché?

Perché tu che mi “innaffi” di veleni stai svolgendo un’attività, una attività agricola, e diventi così quasi intoccabile.
Dovrei far fare delle analisi sulle piante del mio orto, o sull’erba del mio giardino, ecc., chiamare periti, chimici e così via.
Da quello che si sa un solo viticoltore è stato condannato nel 2014 in quel di Pistoia.
E questo anche se l’art. 41 della costituzione recita “L’iniziativa economica privata … omissis … non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana … omissis

Quindi tu continui a fare “quello che vuoi” ed ad avvelenarmi e io devo subire la tua azione e se comunque ti denunciassi, sarebbero in molti, naturalmente le associazioni di categoria, (Confagricoltura, Coldiretti, Cia, …) a prendere le tue difeseNo giustizia e a darmi contro.

Questa la possiamo chiamare giustizia?

 

Capitolo 2. Tempo di rientro.
Sappiamo che la confezione di un qualsiasi pesticida deve riportare, in modo leggibile, indelebile e in lingua italiana, una serie di indicazioni e dichiarazioni proprie del prodotto, del pesticida.
Nell’etichetta troviamo ciò che è necessario sapere per la sua identificazione e per il suo corretto uso .
Per te, che effettui il trattamento è anche obbligatorio conoscere (questo vale per qualsiasi trattamento, non solo per quelli usati nella coltivazione della vite) oltre che le indicazioni riportate in etichetta anche il contenuto della scheda tecnica che il venditore del prodotto ti deve consegnare in originale e sempre per te che effettui il trattamcartello trattamentiento, è fondamentale, per la tua vita, rispettare il tempo di rientro.
Cioè quel periodo di tempo che trascorre tra il giorno in cui hai effettuato un trattamento e il giorno in cui potrai rientrare in sicurezza in campo, nel tuo vigneto (per controlli, lavori o per fare altri trattamenti).
Normalmente il tempo di rientro è di 24 ore o 48, salvo altre indicazioni.

Il consiglio che viene dato da tutti gli esperti del settore è che se il tempo di rientro non é indicato nella scheda tecnica del prodotto (tra l’altro campo obbligatorio ma molte ditte usano la dicitura “Tempi di rientro: non normati) è buona norma far passare almeno 48 ore per rientrare in campo.

Se le tue famose goccioline fossero arrivate nel mio orto, o nel mio giardino, se, non essendomi accorto che stavi irrorando, avessi lasciato aperte le finestre della mia casa confinante con il tuo vigneto, se sapessi il tempo di rientro del prodotto che hai usato dovrei attenermi a quello conosciuto, non sapendolo cosa dovrei fare?
Dovrei non andare nell’orto o in giardino perun-orologio-da-48 48 ore, oppure stare fuori di casa mia per 48 ore.

Cosa mi dici? Come? Che il tempo di rientro vale solo per te? Vale per il campo trattato? Vale per la tua salute? E mi dici che non vale per la mia?

Ma si lo so: tu svolgi il tuo lavoro, coltivi la vite.
Ma si lo so: sono io dalla parte del torto: ho una casa attaccata al tuo vigneto (magari la casa esisteva prima del vigneto) e non ho chiuso le finestre.

Capitolo 3. DPI = dispositivi di protezione individuali.
Tu conosci la pericolosità dei pesticidi che usi.
La conosci perché, per poterli acquistare e successivamente utilizzare, hai dovuto ottenere un patentino rilasciato alla fine di un corso nel quale ti sono state spiegate tutte le norme di sicurezza da rispettare.

Le conosci talmente bene che nel fare questi trattamenti con i pesticidi ti proteggi, eccome se ti proteggi.
Usi una serie di dispositivi individuali di protezione: guanti, casco, maschera, tuta, o usi un trattore equipaggiato con una cabina pressurizzata che garantisce all’interno la salubrità dell’aria.
Si, potresti perfino acquistare (naturalmente servono un po’ di soldini, ma cosa non si fa per la propria salute ?)cabine-pressurizzate, addirittura una cabina in Categoria 4, secondo la norma EN15695-1 e -2, il massimo dell’efficienza, in grado di assicurare un’efficace protezione non solo contro le polveri, ma anche nei confronti degli aerosol e dei vapori (ovvero le forme di dispersione più adottate nell’applicazione dei pesticidi).

In poche parole tu respirerai aria  quasi “pulita” essendo state eliminate, tramiti filtri, le sostanze chimiche presenti nei pesticidi, particelle tossiche e/o potenzialmente cancerogene.

Beato tu che ti puoi permettere il trattore con la cabina pressurizzata.
Ah, mi è venuta un’idea, potrei acquistarne una anch’io.
Come? Mi chiedi cosa me ne faccio di una cabina pressurizzata?

Non l’hai capito? La metto in salotto. Sai io amo, quando c’è la bella stagione, tenere le finestre aperte.

L’agricoltore si protegge e il vicino?

Capitolo 4: La vigna
Leggo dal tuo post «… la vigna è identitaria del nostro territorio … ».

Di quale vigna parli?

Della piantata veneta, quei filari d’alberi a cui veniva “maritata” la vite descritta da Giacomo Agostinetti (1597‐1682) e arrivata fino agli anni 60/70 e di cui oggi rimangono rarissimi esempi?

Cioè la combinazione di tre coltivazioni: quella della vite, quePiantatalla degli alberi da pastura, da frutto o da legna che facevano da tutore vivo alla vite stessa e quella dei cereali o degli ortaggi o del prato stabile”.
Il tutto accompagnato da sistemazioni idraulico-agrarie fatte manualmente da generazioni di contadini, dove fossi e siepi rendevano il paesaggio davvero unico e dove davvero la biodiverità la faceva da padrone.

Oppure ti riferisci alle vigne che hanno sostituito a partire dagli anni 60 e 70 le piantate venete?.
Vigne, che raramente (grandi viticoltori) erano la fonte principale di reddito della azienda agricola, che continuava comunque ad avere la stalla, i prati stabili e a coltivare cereali.
La vigna che da “piantata” era diventata “belussera”?
Anche quest’ultima ormai rara.

Spero, quindi, che tu non ti riferisca quando affermi che «… la vigna è identitaria del nostro territorio … » ai vigneti di oggi, cioè quella distesa di pali, di cemento o di ferro, su terreni “tirati” a biliardo col laser, dopo che sono stati chiusi fossi e sono stati abbattuti siepi e alberi.
Spero che tu non pensi che “l’identità del nostro territorio” sia questa monocultura della vite, questa industrializzazione, questa non agricoltura.
Industrializzazione basata su vitigni selezionati, sull’uso di concimi minerali e pesticidi a gogo, che hanno e stanno distruggendo la biodiversità, rendendo i terreni sterili e cancellando l’avifauna.

Paesaggi mozzati, cancellati, boschetti e angoli di verde introvabili, luoghi rimasti solo nella nostra memoria, nei nostri ricordi.

E così si sta spazzando via tutto, proprio quella identità veneta e in particolare trevigiana, da te richiamata, passando come ha scritto il nostro poeta Andrea Zanzotto (1921-2011) lui si vero custode della nostra indentità, «… dai campi di sterminio allo sterminio dei campi … ».

E’ questa l’identità da conservare?

Capitolo 5: Fonte di reddito
Tu ricordi che «…  la vigna è importante non solo per la fonte di reddito che produce … ».
Eccoci ai schei.
Alla corsa all’impianto, al vigneto, alla produzione di vino, alla produzione di prosecco diventata spasmodica per il miraggio dei soldi.
Nulla di male se un agricoltore, un vero agricoltore, incrementa l’area dedicata ai vigneti della sua azienda agricola, diversificando quindi le sue produzioni per garantirsi un reddito adeguato e dignitoso.

Ma oggi molti “agricoltori” non sono più i possessori “dell’arte e della pratica di coltivare il suolo allo scopo di ottenerne prodotti per l’alimentazione umana e animale (definizione della Treccani), ma sono diventati semplicemente degli “ingranaggi”, dei semplici lavoratori figli della “industrializzazione” della terra che è in atto, dove il distacco tra il suolo, organismo vivente riproducibile in centinaia anni, e loro, é dato da quella poca distanza che separa i sedili delle loro macchine agricole su cui sono seduti da quel suolo, un abisso incolmabile.

Industrializzazione agricola generata in parte anche da imprenditori o ex, che hanno investito i loro “proventi”, soprattutto a partire dal 2009 in questa nuova “industria” del prosecco, vedendone solo il tornaconto economico e applicando la stessa logica della fabbrica.

Ma l’agricoltura non è una fabbrica, non è produzione di “pezzi”, è contatto con la natura, con la vita stessa, con quella vita che ci da la vita.

E per produrre che cosa? Vino.
E’ vervinoo che a tutti piace un buon bicchier di vino, (anche a me e a te), ma non va dimenticato che già dall’inizio del secolo scorso era ritenuto un stupefacente e che studi recenti dimostrerebbero che non è il vino che fa bene, come si andava dicendo dagli anni 90, sfruttando uno studio francese, (paradosso francese) ma l’alcol contenuto nel vino come in tutte le altre bevande alcoliche, naturalmente alcol assunto in piccolissime dosi.
«Il vino provoca seri danni alla salute (tumori, malattie epatiche, incidenti e violenza) – commenta Carlo La Vecchia, responsabile del dipartimento di epidemiologia dell’istituto di ricerche farmacologiche “Mario Negri” di Milano -, ma in dosi moderate e nelle persone di mezza età o anziane ha effetti favorevoli su infarto e malattie vascolari in genere. Tutti questi effetti sono essenzialmente dovuti all’alcool, e sono comuni a vino bianco e rosso, come peraltro a birra e altre bevande alcoliche, a parità di contenuto di etanolo, che è il vero e solo elemento chiaro dei danni (e benefici) delle bevande alcoliche».

E quindi i nostri territori vengono sconvolti non per produrre alimenti necessari ad ottenere l’autosufficienza alimentare (importiamo grano, frutti, carne, ecc.), ma per incentivare il consumo interno di vino e per esportare qualcosa che nuoce alla salute.

Sulla base di questi assunti scientifici, se volessimo fare un esercizio filosofico  e portare all’estremo il ragionamento potremmo dire che esportiamo “droga” o una sostanza psicotropa ed importiamo una parte di quello che ci serve per mangiare.
Siamo al parossismo agricolo.
Siamo diventati il più grande produttore di vino al mondo e per paradosso potremmo  dire di rincorrere  (paragone forte) l’Afghanistan, il più grande produttore di oppio al mondo.
E in questo ragionamento astratto  se almeno producessimo vino biologico, forniremmo “droga pura” non “tagliata” con pesticidi, evitando così ulteriori enormi danni alla salute dei nostri “consumatori”.

Sbattendocene degli altri paesi, dove esportiamo il nostro “nettare”, ma guardando solo al nostro di paese, ti chiedo chi paga il costo sociale dell’uso sconsiderato di alcol?
Forse i produttori?
Quei che i core drio a schei?
Non credo proprio.

In Italia (dati 2018) le persone a rischio per abuso di alcol sono 8 milioni, poco più di 6 milioni sono uomini, 2 milioni e mezzo le donne, 2,7 milioni gli anziani, 700 mila i minori.

Il costo  sociale annuo stimato in Europa è circa 150 miliardi, il costo in Italia è di circa 20 miliardi, soldi che sono a carico dell’intera comunità.

E in tutto questo il vino da il suo contributo: siamo il terzo consumatore al mondo di vino con un consumo annuo di 37,4 lt per abitante, dietro al Portogallo (49 lt) e alla Francia (40 lt).

E siamo al parossismo comunicativo.
Da una parte con la pubblicità sollecitiamo il consumo di vino, di alcol, e dall’altra vengono fatte campagne sociali da varie istituzioni del nostro paese per far ridurre il consumo degli alcolici.

Ci vorrebbe almeno un po’ di coerenza, o no?

Capitolo 6: Biologico
Chi ama la terra, chi della terra ne capisce la funzione vitale non la rende sterile, non desertifica il suolo usando la chimica, non coltiva in modo convenzionale cercando di trarne il massimo profitto, guardando solo all’oggi.

Chi ama la terra cerca un equilibrio tra natura e mercato.
Coltiva con passione per produrre prodotti genuini e rispettosi dell’ambiente e che tutelino la sua di salute e quella dei consumatori.

BioColtiva biologico o biodinamico.
Anche la viticoltura si può fare con metodo biologico o biodinamico, e nel farlo si può incrementare la biodiversità e non distruggerla, si può migliorare la qualità del prodotto e si può salvaguardare l’ambiente:
« La biodiversità in viticoltura è, malgrado l’intensificazione dei processi produttivi, un aspetto essenziale per la valorizzazione dei diversi ambienti di coltivazione e per le diverse esigenze dei modelli di consumo.
Si manifesta però soprattutto nelle scelte varietali, mentre è sostanzialmente trascurato l’aspetto relativo all’ecosistema dove la vite è coltivata, il suolo del vigneto ed il suo intorno naturale. È quindi necessario superare la visione vitigno-centrica del vigneto per proteggere e valorizzare la biodiversità dell’insieme dell’ecosistema viticolo, integrando e facendo convergere le discipline e le conoscenze agronomiche con quelle ecologiche, per sviluppare un nuovo concetto di agro-biodiversità che inglobi le popolazioni dei vitigni coltivati con tutte le specie viventi nel vigneto, siano esse animali o vegetali o microbiche, aggressive o utili, telluriche o aree. Il tema trasversale comune a tutte le forme di coltivazioni erbacee ed arboree è la copertura del suolo, come espressione di una sinergia tra la gestione della coltura principale e quella della copertura, al fine di ridurre l’effetto competitivo della flora avventizia con la non-lavorazione, l’uso del mulch, l’impiego di leguminose azoto-fissatrici, l’arricchimento sistematico di sostanza organica, la lotta biologica». Tratto da “Coltiva
re la biodiversità per trasformare la viticoltura”
Articolo a firma di Attilio Scienza – Dipartimento di Scienze Agrarie ed Ambientali – Produzione,Territorio,Agroenergia – DISAA –  Università degli Studi di Milano

Cambiare si può ed è necessario. O no?

Capitolo 6: Buon senso
Affermi «… Con il buonsenso ritengo ci possa essere convivenza delle esigenze di tutti, no?…»

La risposta è no.
Ti chiedo: il tuo “buon senso” è uguale al mio?

Il mio di buon senso mi porterebbe a dire che da bravi e civili cittadini dovremmo rispettare tutti gli altri uomini, l’ambiente naturale, l’acqua, l’aria, la flora e la fauna.
Dovremmo cercare di svolgere la nostra “giusta e doverosa” attività di agricoltori, o di pastori, o di allevatori, o di semplici detentori di animali, o di proprietari di siepi, ecc., o qualsiasi altra attività,  in modo da non danneggiare gli ” altri”, ma tutti gli “altri”.

Il buon senso, che tanti reclamano, per me è il frutto del nostro livello culturale, delle nostre esperienze e conoscenze, degli ambienti e pezzi di società frequentati.

Già dai commenti al post con cui si é messo in evidenza il fatto del 1° maggio “Su sei di gaiarine se” si può capire “che il buon senso” è diverso da commentatore a commentatore.

C’è chi dice che se c’è la necessità il vigneto va trattato a prescindere e accusa gli altri di non conoscere il lavoro del contadino.
Chi invece invoca il rispetto di distanze e di orario.
E allora come la mettiamo?

TrattDevo trattare il mio vigneto, lo devo fare oggi perché domani sono previste precipitazioni, parto appena sono asciutte le foglie.
Il mio di “buon senso” mi dice che la salvezza del mio futuro raccolto è la cosa più importante, i soldi che ne ricaverò mi serviranno anche a mantenere i miei figli (buon padre di famiglia), tutto quello che sta al di fuori della mia proprietà non mi interessa.

Capisci che con il buon senso non si va da nessuna parte, servono regole.
Sappiamo che la parola “regole” è mal digerita, perché viene associata all’autorità e ai successivi possibili controlli. Sappiamo che limita la libertà.

Viene mal digerita da tanti di noi, o soprattutto da quelli che tuonano paroni a casa nostra, che equivale a dire: nella mia proprietà fae quel che voi, e pazienza se al confine c’è …..

Ma sappiamo anche che una comunità non può funzionare senza le regole e il rispetto di queste da parte di tutti.

Appellarsi al “buon senso” significa non voler mettere regole. O no?

Capitolo 7: Il regolamento di Polizia Rurale
Assolvi l’amministrazione di cui fai parte e ti autoassolvi  affermando « … noi non abbiamo responsabilità se il nostro Comune manca del piano da SECOLI! … »

Beh. Andiamo per ordine e vediamo di chi sono le responsabilità del fatto che il Comune di Gaiarine si trovi, oggi, forse unico comune della provincia di Treviso, senza un regolamento di polizia rurale.

Sicuramente della amministrazione Cappellotto. Su questo non ci piove.
Logo_AmicaTerra Nel 2014, quella amministrazione, tramite l’allora assessore ambiente e agricoltura, Fellet, coinvolse gli agricoltori del comune, e per strane coincidenze anche Amica Terra, di cui come molti sapranno sono socio, nella valutazione di un regolamento, prima di gestione dei fossi, diventato poi di Polizia Rurale, da approvare per poter accedere a dei fondi regionali. Siamo alla fine del 2014, quasi sei anni fa..

Febbraio 2015, Amica Terra, partendo dalla bozza ricevuta invia al comune una sua bozza, comprendente anche le regole per utilizzo dei pesticidi.

Da quel momento, il buio più assoluto. Il sindaco Cappellotto fa saltare una riunione già convocata ufficialmente, con tutti i portatori di interessi e anche con Amica Terra, già fissata per il 9 marzo 2015.

Senza fare dietrologia.
Non sei stato anche tu uno dei sostenitori dell’amministrazione Cappellotto?
Sei sicuro di non aver nulla da spartire con tale decisione?
E neppure gli agricoltori che rappresentavi all’epoca hanno da spartire qualcosa?

Come dici. Non c’entri. Bene ne prendo atto.

Amica Terra il 27 gennaio 2017 organizzò una serata di presentazione della bozza del regolamento di polizia rurale, quella inviata, due anni prima, a inizio 2015 all’amministrazione comunale
La serata, che si svolse in quel di Francenigo nella Sala Damiano Chiesa e io ero uno dei presentatori,  aveva lo scopo di sollecitare l’amministrazione comunale e tutti i portatori di interesse affinché al più presto si approvasse il regolamento.

Tu eri presente e se non sbaglio rappresentavi la Coldiretti.
Ti chiedo: allora e successivamente durante l’amministrazione Cappellotto, cosa hai fatto perché questo benedetto regolamento fosse approvato?
Rispondo io per te. Un bel niente, come, d’altra parte, molti altri dei presenti  che ricoprivano qualche carica importante nel comune.

Come vedi ognuno di noi porta le proprie responsabilità.

Capitolo 8: Il regolamento di Polizia rurale ai giorni nostri.
Il 2 di luglio 2019 Amica Terra chiede, tramite PEC, all’attuale amministrazione di cui fai parte, un incontro, che avviene il 22 ottobre 2019, quasi 4 mesi dopo.

Si parla di molte cose e anche del regolamento di polizia rurale.
Viene garantito che verrà approvato al più presto, dato che essendo in atto la convenzione del servizio di polizia urbana con altri comuni, è corretto che tutti si dotino dello stesso regolamento, per non far diventare “matti i vigili” con l’applicare regole diverse in ogni comune.
Viene confermato che c’è un gruppo intercomunale che sta lavorando alla sua stesura (l’aveva detto in consiglio comunale anche Cappellotto tre anni fa),   e che l’associazione verrà messa al corrente.

L’Associazione fa presente che mancano pochi mesi alle “stagione” dei vigneti e che quindi bisognerebbe fare in fretta.

A fine febbraio 2020, non arrivando notizie viene sollecitato un incontro, e viene concordato che un incontro si terrà entro 15 giorni, salvo Covid19.
E Covid19Covid19 fu. Addio incontro.

Così un’altra stagione di irrorazione è cominciata, e questa “industria chimica a cielo aperto ” ha ripreso alla grande e senza regole a produrre veleni per tutti, anche per quelli, e non solo, che il 1° maggio si stavano cucinando le braciole.

Capitolo 9: Covid19. Fase 1.
Oh, quanti appelli alla salute. Appelli di tutti i tipi.
Solo per citarne alcuni.
« Stiamo in casa per la nostra salute ».
 « Facciamo il distanziamento sociale ».
 « Laviamoci spesso le mani ».
« Teniamo i bambini in casa ».

famigliaTenere in casa i bambini è stata davvero dura, in pochi metri quadrati i genitori si sono inventati di tutto per non far venire loro la paranoia.
Ma per fortuna, non ci sono solo i genitori “sfigati” ma anche quelli “fortunati”.
Quelli che hanno a loro disposizione un giardino o un piccolo appezzamento di terreno sul qual far giocare i loro figli.
A meno che … a  meno che non ci sia qualcuno che irrora.

Aprile 2020. Lockdown in fase 1 (fatti realmente accaduti)
Il vicino sta irrorando.,
Che prodotto starà usando? Non so.
Quale sarà il tempo di rientro? Non so.
Ma mi posso fidare di mandare i bambini in giardino? Boh.
(Consulto familiare)
Forse no. Meglio di no.
Tutti chiusi in casa.
Per quanto tempo?
Beh, almeno per 48 ore.
Ma oggi è sabato e domani domenica.
Si lo so, ma lo dobbiamo fare per la nostra salute. Non vedete. Quello che irrora ha lo “scafandro”.
E così giardino o non giardino tutti chiusi in casa.

Viene da chiedersi: chi sono i genitori più sfigati: quelli con un giardino con accanto un vigneto o quelli che abitano in un appartamento?

Capitolo 10: Fase 2.
Uso la stessa frase usata dal capitano De Falco nei confronti di Schettino (Costa Concordia, 2012)
« … torni a bordo c….! … ».
Si è ora di tornare a bordo, cioè di fare qualcosa.

Si può anche continuare a richiamare il bene salute in tutte le salse, a mettere cuoricini a destra e a manca, a raccogliere soldi per una terapia intensiva, ma non si può non fare nulla per l’ambiente, e non dirmi che le sanificazioni delle strade fatte con ipoclorito di sodio, siano “state” qualcosa di utile per l’ambiente, sono esattamente il contrario.
Pianura padanaSostanzialmente non si fa nulla per proteggere la salute delle persone esposte  all’inquinamento da pesticidi.
Inquinamento, questo, che si aggiunge a quello già presente nella pianura padana che é forse la zona più inquinata del mondo e dove sono in corso studi, sui quali non voglio dilungarmi, per verificare il rapporto tra la diffusione del Covid19 e l’inquinamento. Rapporto che c’è.

Guarda che non si tratta solo di fare un regolamento, cosa estremamente necessaria, che regolamenti l’utilizzo dei pesticidi, che protegga i vicinanti, che permetta per chi ama di andare a camminare di farlo in sicurezza,  che determini distanze, che salvaguardi le poche siepi e i pochi alberi che sono rimasti.

Bisogna iniziare a far cambiare l’approccio ai nostri agricoltori ed in particolare ai viticoltori, ma anche a tanti cittadini del nostro comune.

Bisogna far in modo che si ripiantino le siepi, che si ripiantino i boschetti, che si ricrei nei campi una biodiversità, si vada insomma per gradi ad una agricoltura della vita e non della morte come quella attuale, ad una agricoltura biologica, e questo anche tenendo conto dei cambiamenti climatici in corso.

Bisogna cambiare approccio e per farlo cambiare  ci vuole tempo, impegno, e non nascondersi dietro alle responsabilità altrui.
Bisogna convincere con le buone ma anche mettere, come detto, le regole e farle rispettare.

In attesa del parto del regolamento intercomunale, che forse non arriverà mai o che forse partorirà un topolino, si può fare subito un’ordinanza (un’ora di lavoro?, ma anche se fosse un giorno ne varrebbe la pena), che obblighi nel caso di coltivazione convenzionale ed in vicinanza di case, orti, giardini, l‘esposizione di un cartello con il nome del prodotto utilizzato e l’indicazione del tempo di rientro.

In attesa del parto del regolamento intercomunale, che forse non arriverà mai o che forse partorirà un topolino, si potrebbe approvare il regolamento inviato dalla Regione Veneto a tutti i comuni ad agosto 2019 e che fa seguito a quello inviato ad agosto del 2016 che l’amministrazione Cappellotto se guardata bene dall’approvare.
Questo regolamento, in vostro possesso da agosto, dal titolo Regolamento comunale/intercomunale sull’uso dei prodotti fitosanitari nelle aree frequentate dalla popolazione o da gruppi vulnerabili e nelle aree adiacenti ad esse.” è già stato approvato da molti comuni.

Esso già introduce, in parte, la tutela delle abitazioni, i cui residenti sono soggetti alla possibile deriva dei pesticidi, e sarebbe già un passo in avanti perché ci indurrebbe a ragionare anche sulle distanza dai siti sensibili e dalle case.
Si comincerebbe, così,  a prendersi cura del problema.
Non c’é da far nulla. Portarlo in consiglio ed approvarlo.

« … è ora di tornare a bordo… ».

Con ossequio.
Renzo Rizzon

 

 

 

 

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