Mercoledì: La scelta di vivere in condizioni precarie

Fare anche l’assurdo per risparmiare e spedire a casa più danaro possibile.
Questo è il movente, il motivo conduttore che fa dell’emigrante il campione dei sacrifici, e parte di ciò è la scelta di come e dove abitare. Sempre per risparmiare,
succedeva quindi che diversi paesani ancora prima di partire si accordavano per andare ad abitare assieme; amici con amici, sorelle con sorelle, fratelli con fratelli, fratelli con sorelle, giovani coppie ecc.
Arrivati sul posto, dunque, già sapevano con chi si sarebbe condiviso la maggior parte del tempo rimasto libero dopo lavoro. Certamente il letto assegnato a fianco a quello dell’amico, o del fratello, o in certi casi a quello della sorella, sembrava la migliore soluzione possibile.
Se poi quella cameretta faceva parte di un appartamento composto di altre camere che disponevano più o meno le stesse condizioni, e il tutto servito da un solo bagno e da un cucinino dove al massimo c’era spazio da sedere per tre persone, veramente non era il caso di reclamare, anzi pensavano: si starà un po’ stretti, ma trovarsi lontani da casa, è anche una fortuna ad essere attorniati da così tanta brava gente, e con un po’ di organizzazione tutto si sarebbe risolto.
Purtroppo in molti casi la sola organizzazione non bastava per tirar avanti lietamente.
Porta pazienza, sopporta, per un quieto vivere cerca di andar d’accordo; erano detti quotidianamente diffusi nei tempi passati e in quei momenti l’emigrante per forza maggiore doveva farne buon uso.
L’esperienza aveva insegnato che in questi nuclei le persone potevano sì condividere lo spazio comunitario, ma non quello che c’era dentro. Mobili, vettovaglie, cibo: tutto doveva essere separato, al massimo con il socio di camera si poteva condividere la spesa; ognuno era responsabile di quello che usava e quindi doveva possederlo.

Dopodiché tutto si basava su turni che fiscalmente (non all’italiana) si doveva osservare: fare il bucato, lavarsi, cucinare, mangiare ( se si era in troppi per consumare i pasti si usava anche la propria camera), lavare i piatti, far pulizia, e per ultimo, ma non per questo il meno importante, usare i servizi per i bisogni fisiologici (beati coloro che possedevano un doppio servizio); ogni piccola entità doveva rispettare quella che veniva dopo.
Due, tre, anche quattro turni, mattino e sera per settimane, mesi e qualche volta anni!
Solo il pranzo della Domenica molte volte veniva condiviso tutti assieme.
All’inizio tutto funziona bene, ma poi subentra le routine di doversi abituare a un sistema così inconsueto. È facile da immaginare dunque come sia normale che, in quelle condizioni, l’ambiente cominciasse a degenerare e l’aria a farsi pesante (da tenere presente pure l’eventuale problema personale riguardante il lavoro o altro che ognuno si portava appresso).

Qualche parola in più buttata lì, qualche screzio, frasi dette senza malignità ma mal interpretate, scherzetti non accettati, piccoli attriti, incomprensioni, dissensi, sospetti, gelosie.

Ecco allora che la forzata collaborazione è sintomo di insofferenza, di ostacolo, di intralcio.
Il risultato di scontri pesanti qualche volta era l’allontanamento di qualcuno dal gruppo, ma il più delle volte provavano a ricominciare da capo. In nome “del risparmiare per forza” cercavano ancora la collaborazione alla bene meglio.
Ma quanto tutto questo ha pesato negativamente sul forgiare lo spirito di quei emigranti, è incalcolabile: frustrazioni, antipatie, malumori, delusioni, maleducazione, cattiverie, malignità, perdita di amicizie.

Anche per questo meritano più rispetto.

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