Pian piano a pezzi va giù.

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Voci di paese (Francenigo) e transenne accatastate ci dicono che domenica prossima (17 Gennaio) verrà demolita una ulteriore porzione di fabbricato in via dei Fracassi.
DSC_0223_webTrattasi della porzione adiacente al parcheggio situato di fronte al bar la Campana.
La porzione interessata è, allo stato attuale delle nostre conoscenze, proprietà privata e la demolizione viene eseguita, così si dice, per permettere di ampliare il parcheggio esistente e per dare qualche possibilità di sopravivenza in più alla nuova gestione del bar, prendendo per buona l’equazione: più parcheggi = più macchine = più avventori.
Ragionamento legittimo anche se poche volte ha dato i risultati sperati. Un esempio è il bar Pesa, situato poco più avanti, chiuso da oltre un mese pur avendo nelle vicinanze un gran numero di parcheggi.
Le questioni che solleva questa nuova demolizione però sono altre.
La prima che il nostro paese piano piano, pezzo dopo pezzo viene abbattuto.
Si ricordano le demolizioni eseguite nel 2014 della casa d’angolo di via Benedetti-via Mazzul e quella dell’intero comparto dell’ex macelleria Carrer. Demolizione eseguite dal comune, con molte irregolarità amministrative, dopo aver comperato gli immobili (cifra totale a bilancio 250.000,00 euro) con l’intenzione nel primo caso di costruire una rotonda e nel secondo di creare lo spazio perché un privato potesse e possa realizzare una piazzetta da intitolare a chi vuole lui, applicando procedure illegittime, con bandi e delibere emessi e poi ritirati: una lunga storia che se abbiamo voglia e tempo potremmo raccontare nel dettaglio.
Mentre Gaiarine ha nel tempo mantenuto gran parte della sua storica struttura di paese, Francenigo la sta perdendo, appunto pezzo dopo pezzo.

Sappiamo che parte dei fabbricati del centro sono in uno stato precario e di abbandono, sappiamo, anche, che tutto nel tempo si modifica. Non siamo per un mantenimento mummificato dello status quo. Sappiamo, inoltre, che molti dicono e diranno che è meglio abbattere queste case piene di topi piuttosto che tenerle in pieni. Non per ultimo sappiamo che la crisi dell’edilizia e nel pieno del suo percorso e quindi è difficile trovare investitori.
Il vero grande problema è che tutto questo avviene senza che ci sia una visione complessiva del centro storico di Francenigo. Ognuno nel tempo, sia esso comune, o privato o associazione, ha fatto o fa a modo suo. Fa il suo intervento spot. Una demolizione e un pezzo di parcheggio qua, una demolizione e un pezzo di parcheggio là, e così via. Il comune, quando non è lui a demolire, lascia fare, anche perché ancora succube di quel assurdo e vecchio modo di pensare: tutti in centro con la macchina.
Ma il compito di una amministrazione comunale non è questo. Una amministrazione comunale dovrebbe essere il motore trainante della ricostruzione del centri storici, ne va della vivibilità dei suoi cittadini, delle classi più deboli: anziani e bambini. L’attuale amministrazione comunale dovrebbe essere il motore trainante della ricostruzione del centro di Francenigo, e non il motore della sua demolizione. La ricostruzione si fa stendendo un piano urbanistico complessivo del centro, che sia di vera riqualificazione, piano che dovrebbe coinvolgere anche i proprietari privati, trovando forme di incentivazione che li stimolino ad intervenire e se del caso rivolgendosi ad enti pubblici (Ater, ecc.) che di mestiere investono e intervengono nel campo dell’edilizia. In quest’ottica di pianificazione urbanistica a largo respiro ci può stare anche la demolizione di fabbricati.
Solo, però,  con una di pianificazione urbanistica a largo respiro il centro di Francenigo potrà essere ripopolato e diventare appetibile anche per persone da fuori.
Un disegno strategico, non il vuoto.
La seconda grande questione è quella relativa alla non partecipazione dei cittadini a scelte importanti e che incideranno nella loro vita, in termini di mobilità, di identità di paese, di servizi, ecc.
Le due amministrazioni Sonego hanno applicato, ma anche l’attuale fa lo stesso, una urbanistica ad personan. Il privato chiede e il comune concede. Non ha importanza cosa chiede, basta che chieda. Naturalmente in questo gioco del “chiedi e ti sarà dato”, la cittadinanza non viene mai informata di nulla, anzi molte volte viene coscientemente tenuta all’oscuro, ne è mai chiamata a condividere un progetto pubblico di qualsiasi tipo, come ad esempio la costruzione di una rotonda in centro o la demolizione di un intero comparto per far posto ad una piazza; ma, come è accaduto con le demolizioni del 2014 fatte in piena campagna elettorale, deve prendere solamente atto che le ruspe sono al lavoro. Non sarà mai coinvolta nella intitolazione dell’eventuale piazza, sarà alla fine un privato a deciderne il nome.

Solo domenica mattina vedremo un nuovo vuoto ergersi in tutta la sua immaterialità.

Ci chiediamo come sarà il centro di Francenigo tra dieci anni.
Chi è in grado di immaginarselo?.
Poiché l’andazzo sembra essere quello di demolire i fabbricati in cattivo stato ( dopo aver demolito non si ricostruirà ma più) noi lo vediamo come una grande e larga strada costeggiata di parcheggi.
Parcheggi che serviranno a chi?

 

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Abitare. Il territorio locale del XXI secolo.

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                                                     Cima da Conegliano, S. Marco in Trono […], Venezia. Dettaglio 

Attrezzare il territorio per abitare con meno risorse e riprodurre una nuova prosperità e bellezza.

Dentro la città orizzontale
Il territorio di Gaiarine è una porzione della città orizzontale (o diffusa) veneta, un tipo specifico di territorio contemporaneo (sul quale si è depositata una vasta letteratura). Qui, strade, case, campi, acque, scuole, si mescolano in una forma dispersa e la campagna è dominante. Strade, case, campi, acque, scuole, appartengono alla sfera dell’abitare, sono “costruiti” a servizio dell’uomo che se ne prende cura; adattando ciò che ha ereditato dal passato secondo operazioni di continua ristrutturazione, piccole e grandi, guidato da ciò che è considerato utile e razionale; esercitando saper fare e creatività.  Così che ogni epoca ha interpretato le cose ereditate dal passato sia come dono (una risorsa da utilizzare), sia come fatica (il lavoro per conservarle, modificarle, sostituirle). Il territorio di Gaiarine è un archivio di queste tracce materiali e immateriali, di cose e sapere, depositate nel corso della storia.
L’abitare disperso è, dunque, un carattere costitutivo e di lunga durata della qualità del territorio dei Gaiarine e del Veneto; negli ultimi decenni, radicali trasformazioni (dello spazio, dell’economia, della società) hanno generato, insieme ad una prosperità diffusa, anche degrado dell’abitare: problemi dell’ambiente (alluvioni, siccità, inquinamento sei suoli e dell’acqua..) e della mobilità (congestione, incidenti, emissioni tossiche…); meno evidenti sono gli effetti sull’ incremento dei problemi sociali (salute, riduzione competitività economica, esclusione….).
Crisi al plurale

Questi problemi potrebbero esacerbarsi in futuro, per effetto di un circolo vizioso che la gestione della crisi economica ha avviato; da una parte, si assiste ad una riduzione del trasferimento di risorse dallo stato agli enti locali e ai cittadini, dall’altra ad un aumento della domanda di risorse per far fronte alle nuove circostanze: invecchiamento della popolazione, diminuzione della ricchezza, aumento dei disoccupati, incremento dei danni del suolo e delle acque. Il degrado dell’abitare è dunque l’esito di una crisi al plurale dove gli aspetti economici, sociali e ambientali si combinano. Questa è una situazione grave con la quale cittadini e istituzioni continueranno a confrontarsi nei prossimi anni.

Innovare le strutture portanti

Al degrado resistono le eccellenze, e il territorio di Gaiarine ha molti difetti ma anche tante qualità: infrastrutture tecniche (sistema  capillare  di strade, dei corsi d’acqua e siepi, dei suoli fertili…) e sociali (sistema delle scuole, delle imprese, delle associazioni, spazi del saper fare e della creatività’,sistema di cura della persona…).

Recenti studi di pianificazione (es. Master Europeo di Urbanistica-EMU-Venezia), hanno raggiunto promettenti risultati nella esplorazione delle sostenibilità del territorio veneto in termini di resilienza cioè della capacità del sistema-territorio di recuperare uno stato di qualità che era stato compromesso a causa dello stress subito, in seguito ai processi di degrado nominati sopra. Cruciale si è dimostrato l’uso ottimale delle risorse locali sia materiali (cose) che immateriali (sapere) trovando nuove combinazioni. In specifici contesti (aree nell’alta, media, bassa pianura veneta) questi studi hanno prodotto progetti innovativi delle infrastrutture tecniche e sociali locali di cui potrebbero beneficiare tutte le attività attive sul territorio locale. Il metodo di lavoro si è svolto come una “conversazione” con la situazione locale; condotta da un gruppo misto di esperti e cittadini che ha svolto ripetute visite sul campo per “vedere” elementi utili e costruire una interpretazione condivisa; la quale ha condotto, a partire da una prima ipotesi vaga, alla precisione di progetti/scenari solidi attraverso una sequenza di passaggi successivi e partecipati.

Verso il futuro

In conclusione, il progetto del territorio di Gaiarine necessita di uno sforzo di immaginazione fondato su una rinnovata interpretazione della condizione di base: l’abitare disperso e le risorse locali. L’abitare disperso esercita da centinaia di anni una resistenza ai tentativi di cambiamenti radicali. Oggi conosciamo meglio i processi della formazione del territorio presente e quelli possibili per il futuro. Per rispondere alle crisi e al loro superamento agendo sulla sua forma e funzionamento. Dobbiamo intensificare lo “sguardo” e l’“ascolto”. Con Eco si può sostenere che noi entriamo nel territorio come in un film a proiezione già iniziata, quando molte cose sono già successe, (alcune da centinaia di migliaia di anni) ed è importante apprendere quello che è accaduto prima che noi nascessimo; serve per capire meglio ciò che abitiamo oggi. E come abitare domani.
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Non solo auto. Più spazio per camminare e pedalare! (2)

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Non puoi avere una rivoluzione della bicicletta se provvedi a una riduzione della velocità’a 30km/ora solo in alcune strade e neppure se realizzi solo alcune piste ciclabili ma devi fare tutte queste misure e dappertutto al fine di realizzare un sistema coerente su tutto il territorio. E, uscendo di casa devi poter trovare, a  poca distanza, una infrastruttura la cui qualità’ e attrattivita’ degli spazi attraversati sia tale da diventare un divertimento percorrerla per te e i tuoi figli. (David Hambrow. www.aviewfromthecyclepath.com)


Infrastrutture del traffico 

Nel post Non solo auto. Più spazio per camminare e pedalare! (1), avevo affrontato la questione del traffico veicolare. Necessario, ma anche problematico, perché oltre a vantaggi, genera anche danni diretti o indiretti per chi oggi si muove a piedi o in bici e scoraggia chi desidera o deve farlo.

Nel comune di Gaiarine, chi voglia muoversi a piedi o in bici con comodità e sicurezza in ogni giorno dell’anno e ovunque ha minori possibilità rispetto a coloro che si spostano in auto. Questa possibilità si è progressivamente ridotta per l’aumentare del traffico negli ultimi anni. Questo guida la realizzazione di nuove infrastrutture.

Circonvallazione

La circonvallazione, da una parte ha ridotto la pressione del traffico veicolare liberando opportunità di movimento per pedoni e ciclisti (centro di Gaiarine), dall’altra, però, ha interrotto antichi percorsi riducendo le scorciatoie esistenti (connettività) per pedoni e ciclisti che ora sono costretti ad allungare il tragitto.

La circonvallazione nel Comune di Gaiarine è una infrastruttura che non si è fatta carico di combinare le questioni della mobilità lenta (pedoni e bici) con quella veloce delle auto e camion. Il progetto non è partito da una lettura attenta ai caratteri e potenzialità della rete del traffico esistente, compresa la rete di pedoni e ciclisti. La circonvallazione ha spostato il problema da una parte all’ altra del territorio, non lo ha risolto. E, come si dice, “quando una cosa è fatta è fatta…”

La circonvallazione, dunque, è un progetto che nasce già vecchio, non e’ innovativo e voi comprereste un computer degli anni 80? No ovviamente. Allora perché la comunità “acquista” infrastrutture che sono obsolete?

Innovazione ?

La mancanza di innovazione è sia un problema di progettazione che di governo; dell’ingegnere che progetta le infrastrutture riferendosi a manuali del “secolo scorso” e propone soluzioni standard; e del politico che non “vede” i problemi e le opportunità specifiche del territorio che governa e quindi non indirizza il lavoro dei tecnici alla soluzione più appropriata.

La storia della circonvallazione sarebbe potuta andare diversamente ? Forse si, ma da qualche altra parte questo è avvenuto.

Innovazione !

Nelle città di Groningen, in Olanda, il progetto della mobilità è stato affrontato a partire da principi diversi. Qui politici, tecnici e cittadini hanno lavorato insieme. Il video-documentario ricostruisce la micro-storia e illustra il risultato. Anche in questo caso il video è in inglese ma comprensibile senza il sonoro grazie a chiare illustrazioni.

Nel precedente post Non solo auto. Più spazio per camminare e pedalare! (1) ho introdotto due principi guida per la soluzione del problema del rapporto tra auto, bici e pedoni: la integrazione e la separazione. Ho usato il caso di Poynton per introdurre il tema della integrazione tra auto, bici e pedoni che si applica quando il traffico e’ lento. Il caso di Groningen offre l’occasione per illustrare che cosa significa separazione delle auto dalle bici e pedoni, quando il traffico veicolare e’ veloce, garantendo per questi ultimi spazi adeguati per circolare in condizioni di comfort, sicurezza ed efficienza. Ovunque sul territorio.

Il caso di Groningen sfata la leggenda che il cittadino olandese sia homo ciclibus, nato sulla bici; in Olanda, l’incremento d’uso della bicicletta è seguito a quello della realizzazione di spazi adeguati per chi circola a piedi e in bicicletta. “Il risultato è che oggi a Groningen ci sono 75mila macchine e circa 300mila biciclette.”

Il territorio di Gaiarine

Anche il caso di Groningen, come quello di Poynton, e’ utile per riflettere sui limiti delle reti di traffico esistenti nel Comune di Gaiarine e sulle potenzialità dei principi al fondo di questi progetti. Come cambierebbero gli spazi della mobilita’ nel Comune di Gaiarine se questi principi venissero tradotti nel territorio locale?

Il territorio del comune di Gaiarine è stato attrezzato – nel corso della storia lunga – con una rete di strade generalmente densa e distribuita in tutte le direzioni. Questo carattere permette, a chi circola, di raggiungere la destinazione potendo scegliere tra diversi percorsi alternativi.

Alcune strade potrebbero essere selezionate e specializzate per favorire pedoni e ciclisti (anche ripristinando la rete dei fossi e siepi) dove l’ auto rallenta o sparisce; mentre altre potrebbero essere selezionate per favorire il traffico veicolare e riducendo lo spazio per pedoni e bici.

Ne risulterebbe una rete di traffico per tutti e sviluppata in ogni direzione: “democratica”. Che risponde da un lato alla domanda di chi circola a piedi e in bici e dall’altra a chi per lavoro usa l’auto deve raggiungere la propria destinazione. La specializzazione deve essere nelle caratteristiche spaziali (forma, dimensioni e materiali del suolo) non nella segnaletica la cui inutilità è evidente a tutti.

I due casi, quello di Poynton e di Gronningen, insegnano che la ricerca della soluzione più appropria deve partire da una lettura attenta ai caratteri e potenzialità della rete del traffico esistente e di una progettualità che supera le soluzioni convenzionali.  Al fine di utilizzare al meglio il capitale territoriale, a vantaggio della comunità insediata.

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Non solo traffico. Un esempio di spazio multifunzionale.

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L’elevato volume di traffico veicolare che attraversa un piccolo centro urbano è un  problema diffuso. Nel comune di Gaiarine e non solo.

E’ utile ricordare il principio dominante che ha guidato,negli ultimi decenni, la gestione del traffico e la modificazione dello spazio di circolazione: rendere la circolazione veicolare il più fluida possibile per una evacuazione rapida.

Questo principio ha generato, per esempio, il progressivo allargamento della sede stradale e l’eliminazione di possibili barriere. Nei centri del comune di Gaiarine addirittura antichi corsi d’acqua e edifici.

In generale le mosse possibili per risolvere la questione sono due: separare in spazi diversi i flussi di traffico (automezzi, bici, pedoni..), realizzando una nuova strada ( bypass, circonvallazione…) o integrare nello stesso spazio diversi flussi.

Separare il traffico con una nuova strada è la soluzione spesso più ovvia. Tuttavia è costosa, sottrae spazio ad altri usi del suolo (spesso agricolo), è una barriera per flussi trasversali di pedoni, bici, flora e fauna.

Ci sono buone ragioni per esplorare i vantaggi dell’integrazione, una soluzione di senso sia quando una nuova strada, per ragioni diverse, non può o non è opportuno che si realizzi, sia quando una nuova strada riduce il traffico pesante di attraversamento, ma il traffico locale permane.

Il principio guida sul quale si basa un progetto che integra nello stesso spazio diversi flussi di traffico è il rallentamento (non la velocità) e la continuità dei flussi.

E’ necessario premettere che è la velocità del traffico che riduce la sicurezza (reale e percepita) e non tanto il volume del flusso. In generale, un elevato volume di traffico veicolare che procede a velocità ridotta e costante rappresenta una minaccia minore – per l’incolumità e comfort di pedoni e bici – di quanto non sia uno scarso volume di traffico ma che attraversa lo spazio di pedoni e bici a velocità sostenuta.

A partire da questo principio guida, progetti recenti sperimentano forme di integrazione. Ma rari sono quelli dove la trasformazione della gestione del traffico e la trasformazione dello spazio urbano interagiscono generando una qualità complessiva maggiore. Questo è il concetto di spazio multifunzionale: sinergia tra diverse funzioni e obiettivi che interagiscono insistendo sulla stessa area, ed integrandosi in modo convincente a vantaggio dei cittadini, dell’ economia, l´immagine e funzione del territorio locali.

Qui l’ esempio di Poynton, un piccolo centro in Inghilterra. Il video e’ in inglese ma perfettamente comprensibile anche senza il sonoro.

 

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Due appuntamenti per "saperne di più"

Il Sindaco di un Comune che ha deciso di non svendere il proprio territorio e di applicare una politica sostenibile per tutte le risorse, rifiuti inclusi. L’esempio è quello dell’eccellenza e dunque il suo primo cittadino Domenico Finiguerra, ci rende partercipi un po’ tutti, colleghi e non, su quella che è la sua esperienza di amministrazione.
Non un Sindaco Megalomane ma un vero SINDACO!
u l t i m ‘ o r a
questo il link della diretta web
predisposto dagli amici di pordenone grilla
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In Giappone: il suicidio di un contadino

 Una piccola notizia, se guardata nell’ambito del disastro che ha colpito il Giappone, invece racchiude l’essenza vera del disastro e della disperazione che si sono abbattute su quella terra: scampato al terremoto e allo tsunami si è reso conto che dopo venti anni di coltivazioni biologiche, il suo terreno era compromesso almeno per le prossime due generazioni e su quella terra non sarebbero più cresciute neanche le erbacce, è a quel punto che entra in gioco la consapevolezza dell’impotenza, dopo un terremoto di quella portata e lo tsunami se la vita è salva si può ricostruire, ma dopo un disastro nucleare anche se si è salvi bisogna cambiare posto, perchè quello dove si viveva è inutilizzabile per almeno due generazioni e per chi ha speso vent’anni a coltivare biologicamente il suo terreno, giorno dopo giorno, è un colpo mortale.
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Una storia nel Bosco Crasere

È un pomeriggio d’agosto, e nel bosco Crasere in quel di Francenigo, un allegro e variopinto gruppetto di persone, uomini e donne e fanciulli, stanno procedendo sul sentiero. Intanto si rannuvola, e un’improvviso acquazzone, uno scroscio torrenziale di pioggia si rovescia sul bosco e sui malcapitati escursionisti. Un rombo assordante, una saetta luminosa, un lampo accecante, per un attimo tutto resta sospeso nel fragore di un fulmine caduto vicino.. poi silenzio e poi ancora il rumore della pioggia che cala d’intensità fino quasi a cessare e i suoni del bosco che riprendono.
Giovanni, Paola, Dora, Asia, Gaia, Francesco, Chiara, Francesco, Maddalena, Simone,
Federica, Riccardo e Beatrice si guardano attorno, incuriositi e increduli: i “grandi” non ci sono più!
Spariti! Scomparsi!
E sul sentiero è apparso silenziosamente un personaggio bizzarro, con capelli e barba lunga, vestito strano, con una bandana in testa, che li osserva con occhio profondo e consumato, di chi sa leggere il cuore curioso e ancora pulito di un fanciullo.
Ed infatti non è il momento della paura e nei fanciulli vince la curiosità :

«E tu chi sei?» gli chiedono.
«Io? Sono l’uomo del bosco. Seguitemi – dice loro- guardate e ascoltate.»

I ragazzi si
scambiano un’occhiata esitante solo per un momento, poi lo seguono.
«Un albero è come un essere u
mano, con il suo carattere, la sua personalità.»

«Davvero?» disse il più piccolo del gruppo.

Questo è l’ACERO
E’ un albero che al momento sembra forte e sicuro di sé, invece ha un carattere fragile che si arrende subito e si lascia dominare. Si comporta come quelle persone che, di giorno, ostentano una sicurezza e una forza che in realtà dentro non hanno e, al calar del sole, vengono immancabilmente presi dall’ansia per la notte scura che si avvicina. E’ un tipo che ha bisogno di luce. Il tormento, la fatica, il buio o una malattia anche lieve possono annientarlo.

Questo è il TASSO invidiato da tutti gli alberi del bosco.
E’ un soggetto fortunato: bello, ricco, prestante e ricercato. Ma lui non ha fatto nulla per ottenere questa invidiabile posizione; la natura ha deciso la sua sorte. Il tasso è il conte del bosco e non si abbassa a dialogare con nessuno. E’ un gran legno, pieno di cultura, e sa di esserlo. Se un altro albero vuole andare da lui deve chiedere permesso. C’è da dire però che la nobiltà del tasso, mista alla cultura ereditata dagli avi, lo rende amico nel lavoro e disponibile a venirti incontro e ragionare. Se lo prendi con la formale reverenza che si aspetta, ti offre il massimo di cui è capace. L’importante è che le distanze vengano sempre rispettate.

E ora il NOCCIOLO
Già quando lo vedi sottile, dritto, alto e ben vestito, ti dà l’idea del furbetto che non vuole fare nulla: quello che, per evitare qualsiasi seccatura, mette in banca la sua vita con la speranza di proteggerla e farla fruttare senza sforzi. E’ talmente refrattario a qualsiasi rischio, che neanche si sogna di osare qualcosa di suo. Ma non è stupido e cerca i posti a “solivo” ossia dove batte il sole. (…) Difficilmente lo trovi a “pusterno”, dove il sole del nord a malapena lo sfiora. Al pari di tutti i vili e fannulloni cerca la forza nel branco, perciò cresce assieme agli altri noccioli in numerose combriccole. A vederle sembrano quelle bande di giovani bulletti, padroni dei qaurtieri, il cui unico coraggio sta nell’importunare i vecchi o picchiare i barboni.

Questo è il CARPINO
Il duro dei duri, di carattere testardo, cresce storto, ossuto, inquieto e ramingo. E’ un solitario e ama fissare l’orizzonte. Non chiede nulla e di nulla ha bisogno. Anche quel sentimento chiamato amore rappresenta per lui un problema difficile. Quando brucia, il carpino non forma quasi braci. Come un uomo schivo e solitario, vuole scomparire nel nulla senza lasciare di sé la minima traccia.

Qui c’è il PIOPPO
Il più sfortunato degli alberi. Egli appartiene, come socio fondatore, alla sterminata categoria dei disgraziati che popolano la terra, a quel vasto numero di persone che non hanno alcun pregio e neanche la salute. Conscio della sua misera condizione, non vuole quasi vivere, e manda avanti l’esistenza a spintoni in attesa che la morte venga a prenderlo. Siccome non può offrire nulla, tranne che l’ombra di se stesso, da nessuno è cercato. Ma è con la morte che avviene il riscatto e si realizza concretamente la parabola evangelica secondo la quale gli ultimi saranno i primi. Stritolato dalle macine e pressato, il pioppo si trasforma in carta per offrire rifugio alle parole che danno vita ai grandi capolavori della letteratura. Sulle sue fibre è stato stampato il “Cantico dei Cantici”. Sui suoi fogli sono stati tracciati i disegni dei Maestri. Le sue pagine conservano la testimonianza della crescita culturale nei millenni.

Ed ecco il SAMBUCO
Mentre l’agrifoglio fa vedere immediatamente la sua cattiveria, il sambuco, gracile ed inutile, ma che nasconde progetti ambiziosi e violenti, la tiene nascosta come tutti i meschini. Dentro la sua tenera forza si cela una natura aggressiva e guerrafondaia. Tutto l’uso che se ne fa di lui riporta a elementi di distruzione. Occorre stare molto attenti ai sambuchi umani. Piccoli e insignificanti, sono molto cattivi e colpiscono a tradimento con armi subdole e nascoste. Sono fragili, i sambuchi! Con una strizzata di mano ne potresti uccidere un centinaio, ma devi sempre stare attento. Rompendosi, producono schegge affilate come lamette che ti possono dilaniare. Si sentono inferiori e come tali tengono il coltello in tasca pronti a farlo scattare senza il minimo preavviso. Quando vedi un giovanotto che scippa una vecchietta, in quel momento hai conosciuto un sambuco.

Questo è il FRASSINO
Che si può definire l’effeminato del bosco. Non cresce mai dritto. Il suo tronco si sviluppa con movenze e curve inequivocabilmente femminili. Come tutti i diversi è sensibilissimo e quindi procede, attraverso la vita, con grandi difficoltà. Viene deriso dai “veri uomini”, quindi cerca di evitare, il più possibile, incontri con maggiociondoli e carpini, gente buona ma dura e maschilista fino al midollo, che non perde occasione di stuzzicarlo e dileggiarlo con sarcasmo. Nonostante il corpo grazioso, il frassino, è un legno duro e tenace, dal carattere buono e pronto a sopportare i pesi della vita.

Qui c’è il NOCE
Il potere e la fortuna del noce non sono frutto del suo lavoro o di un impegno costante e laborioso, ma solo il risultato casuale di una serie di buone qualità che, travisate, hanno reso ciechi gli uomini. Questo è il noce: un uomo normale con qualche bella curva di pregio che la stupidità umana ha reso celebre e potente, a tal punto che è impossibile ormai fermare il suo arrogante cammino. Per quanto arrogante e antipatico, dispone comunque di parecchi pregi. Anche le foglie del noce sono state colpite dal delirio di onnipotenza. D’autunno, non cadono come le altre in dignitoso silenzio, ma devono farsi notare. Hanno bisogno della platea altrimenti si sentono zero. Allora, per attirare l’attenzione, scendono al suolo con rumorosi “croc croc”, come cadessero pesanti cartocci. E’ il desiderio di apparire a tutti i costi.

E ora PERO, MELO e CILIEGIO
Dal grande popolo delle piante vi sono anche coloro che se ne sono andati. Sono usciti dal bosco per emigrare in città a stare meglio. Rappresentano gli affetti, le cose buone della vita e sono il ciliegio, il pero e il melo. Nel bosco sono rimasti solo i fratelli selvatici, loro, invece, hanno preferito mettere nella gerla ciliegie, mele e pere e trasferirsi nei cortili. Buoni d’animo e dal temperamento mite, questi alberi possiedono un corpo caldo e un colore che comunica affetto. Il ciliegio, in verità, ha un carattere un poco superbo ma bisogna dire che è anche l’albero dei sogni e degli amori. Forse per il suo color rosa intenso con fiammature scure e per il suo legno odoroso di fresco, il Creatore gli aveva affidato un compito speciale nei paesi della valle. Lo aveva incaricato di contenere come in uno scrigno affettuoso l’amore e il sonno degli uomini. Da noi, nonni, genitori, bambini, generazioni intere hanno dormito e si sono voluti bene in letti di ciliegio. Mentre il ciliegio stimola i sentimenti, il pero e il melo sono maestri d’asilo. Hanno sempre a che fare coi bambini che diventano i loro educatori. Sono alberi che vivono per dare pace e serenità. Non sono pionieri, non cercano l’avventura ma si accontentano di una vita quieta negli orti, nei cortili o nei giardini.

Ecco il
TIGLIO
Quasi fratello del pioppo, è solo un po’ meno disgraziato. Sembra abbia avuto la fortuna di incontrare una donna che lo ha lavato, vestito e profumato. E gli ha insegnato a tenersi bene. Ma lui, per uscire dalla sua non troppo brillante condizione, ha voluto esagerare e, siccome non è un raffinato, è caduto nella trappola della banalità. In primavera si spruzza addosso tanto di quel profumo che se ci passi vicino ti viene il mal di testa. Rinnega in ogni modo la parentela con il pioppo e per riuscirci si circonda di oggetti superflui che, secondo lui, dovrebbero donargli stile e autorità. Quanto è ridicolo il tiglio! Sembra quei tipi al bar col telefonino appeso alla cintola che aspettano sempre una chiamata per far vedere al mondo che anche loro esistono. Come tutti coloro, e sono tanti, che hanno un rapporto contrastato con l’educazione, il tiglio sbraita, spinge sgomita e si fa avanti senza il minimo rispetto verso il prossimo. Nella fabbrica della vita, mentre i faggi avvitano bulloni lui, che è sempre pronto a dire di sì al padrone per ottenere privilegi, s’è conquistato il posto da guardiano. Con mille sotterfugi ha acquistato una macchina usata, ma lussuosa, per farsi credere ricco. Come tutti i finti, quando incontra l’abete bianco china la testa e diventa servile, salvo poi sfogarsi con i più deboli e sfortunati. Ingannevoli nella facciata, da lontano sembrano brillanti e sicuri, ma alla prima battuta, si rivelano deludenti e noiosi. Sono i tigli!

Questa è la QUERCIA
Alta, grossa e sempliciotta, sembra una chioccia sempre intenta a tenere i pulcini sotto le ali. Preoccupazioni ed ansie l’hanno abbandonata da tanto, ma l’hanno pure sfiancata e resa pesante, con le forme dimenticate dal tempo. Di scarsa cultura, è un po’ banalotta e provinciale. Nel bosco, sembra una di quelle matrone da cortile, le mani ai fianchi e il grembiule unto, che parlottano con le comari di tutto e tutti. Non ha punte di emozioni e sta lì a registrare gli avvenimenti che riferisce con bigotteria e quel senso dello scandalo, tipico di chi non può più commettere certi peccati.



«Ragazzi, dove siete???»
I richiami dei genitori risuonano nel bosco Crasere, proprio alle loro spalle, nel sentiero. Si voltano tutti assieme verso le voci familiari, e subito dopo eccoli, papà e mamme sollevati dopo tanto cercare, che si avvicinano ai loro figlioli.
«Ma.. dove eravate finiti tutti?» «E perchè non rispondevate?»
Nel tentare una replica si rigirano per indicare il loro nuovo amico e compagno di escursione, ma non vedono più l’uomo del bosco..
Non c’è più, è scomparso lui, ora!
I ragazzi si guardano, scrollano le spalle e si tuffano tra le braccia dei genitori. Ora rientrano tutti assieme, ma tra di loro, più d’uno osserva gli alberi del bosco ripensando alle parole poco prima sentite (o immaginate??) e quasi quasi intuendo un sorriso e un saluto tra quelle rugose cortecce.

Ovviamente un affettuoso ringraziamento a Mauro Corona che queste parole ha scritto e a Paolo Cossi che lo ha ritratto; da loro, indirettamente, l’ispirazione per questo post su una camminata “vera”, di nostri compaesani grandi e piccini anche a piedi scalzi, attraverso il Bosco Crasere.

Da “Le voci del Bosco” di Mauro Corona qui
Da “Corona l’uomo del Bosco di Erto” di Paolo Cossi qui
e per saperne di più sul Bosco Crasere vai qui

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