25 aprile : festa della liberazione

Il 25 aprile anche nel nostro Comune verrà festeggiata la Liberazione.
image-4Qui a lato il programma della mattinata.
Sarà presente anche il neo-eletto Consiglio Comunale dei Ragazzi. E chissà che tornando a casa non rimanga in loro la curiosità di chiedere ai propri genitori o, meglio ancora, ai propri nonni cosa ricordano di quel 6 aprile 1945.
Sarebbe importante poi riportare queste storie, affiancarle, confrontarle, metterle assieme, per recuperare alla memoria storica del nostro comune quello che fu un tragico e drammatico episodio a pochi giorni dalla fine della guerra.
Anche noi abbiamo voluto provarci, e questo è quanto abbiamo trovato e ascoltato.

Il 5 aprile del 1945 due militi del battaglione Romagna incrociano casualmente a Gaiarine (TV) alcuni partigiani e ne nasce uno scontro a fuoco. Uno dei militi riesce a scappare, l’altro viene colpito a morte.
Sulle modalità del fatto le voci e le versioni sono diverse: alcuni dicono che nessuno abbia assistito allo scontro arrivando a dire che una rissa iniziata tra i due camerati nella strada della Bruna, a Calderano, sia poi degenerata fino alle pistolettate. Altri invece ricordano come solo la vittima fascista sia stata sorpresa in paese dai due partigiani.
000_0004In ogni caso il giorno seguente scatta la rappresaglia: un gruppo di militi fascisti si reca a Gaiarine con l’ordine di catturare 12 giovani da fucilare. Il gruppo è comandato dal Ten. Massi e dai tre S.Ten bergamaschi Lorenzi, Testa e Galli.
I paesi di Gaiarine e Albina vengono messi sottosopra e vengono prelevati dodici giovani, scegliendoli solo perché non essendo dichiaratamente fascisti potevano essere ostili al regime; sono sei da Albina e sei da Gaiarine, più il Commissario Prefettizio (Antonino Minuto) accusato di essere un collaboratore dei partigiani.
Ancora oggi c’è chi ricorda il Minuto come persona degna e a modo nonostante il ruolo e forse proprio per questo viene sacrificato: per il regime fascista l’umanità è debolezza e non può permettersela. Ma altri invece lo ricordano come opportunista e ambiguo, sospettato di fare il doppio gioco con le due parti secondo le occasioni.
Di prima mattina la triste colonna, con i condannati legati mani dietro alla schiena, viene vista passare a piedi all’incrocio della strada che da Calderano porta ad Albina, che già allora vede svettare un grande platano. Chi li vede e li conosce è turbato: che c’entrano quei giovani presi dalle loro case e dal lavoro nei campi? Si dice addirittura che Don Battista, parroco di Albina, inviasse qualcuno in bicicletta dal Vescovo per chiederne un intervento di intercessione. Il mesto corteo giunge alfine in Gaiarine dove trovano un altro gruppo con i sei giovani lì rastrellati, più il Commissario.
Vengono allineati ad un muro in via San Liberale per essere immediatamente fucilati, senza accuse, senza processo, senza difese. Prima però alcuni fascisti ordinano agli abitanti di Gaiarine di restare in casa e chiudere le imposte, soprattutto a coloro che abitano in via San Liberale e affacciano sulla strada dove si sta svolgendo l’esecuzione.
Poco prima degli spari arriva dal Comando di Codognè il Ten. Massi con nuovi ordini: dodici persone sono troppe, per una rappresaglia ne bastano cinque. Un milite fascista originario del posto, già partigiano e poi arruolato nella milizia pur di salvar la pelle e che ben conosce uno per uno i giovani allineati, viene incaricato di scegliere chi salvare e chi no.
Visto a posteriori, potrebbe essere questo il momento della disobbedienza, dell’umanità, del coraggio anche estremo: diventa invece la subordinazione alla cieca disciplina. È quasi una conta, crudele e spietata, quella che viene fatta: cominciando dal primo, tu sì, tu no, tu sì, tu no, tu sì, tu no, fino all’ultimo della fila.
000_0003Il sacerdote di Gaiarine raccoglie le suppliche dei cinque giovani che lo implorano: “Don Ferruccio, ci salvi!”. Il povero parroco, non sapendo che fare, si rivolge al sottotenente Lorenzi, gli si inginocchia davanti, lo scongiura di lasciare in vita gli infelici per avere il tempo di esaminare le loro effettive responsabilità ma la risposta che riceve è fredda e determinata: “Nulla da fare, è rappresaglia!”.
Per il diritto internazionale bellico era ed è ammessa la rappresaglia come azione di autotutela di Stato contro altro Stato, in risposta ad atti illeciti. Ma le rappresaglie perpetrate sui civili sono sempre considerate crimini di guerra, nonostante alcune sciagurate visioni di ammissibilità che le vuole relazionate alle azioni compiute dai resistenti.
Le parole lascian posto ai fatti, è il momento dell’esecuzione, dell’eccidio.
Vengono fucilati:
Davide Casaretto, nato a Genova il 10 marzo 1916, impiegato, anni 29
Onelio Dardengo, nato a Gaiarine il 2 luglio 1924, falegname, anni 20
Angelo Perin, nato a Gaiarine il 23 ottobre 1920, contadino, anni 24
Placido Rosolen, nato a Gaiarine il 5 ottobre 1925, contadino, anni 19
Rosario Tonon, nato a Gaiarine il 30 agosto 1920, barbiere, anni 24
Antonino Minuto, nato a Reggio Calabria il 18 giugno 1905, Commissario Prefettizio di Gaiarine, anni 39
Viene raccontato quel momento terribile con i primi cinque giustiziati uno alla volta mentre il Minuto viene freddato alle spalle con un colpo alla testa. Alla fine sei corpi giacciono senza vita a ridosso di quel muro di via San Liberale.
A queste disgraziate vittime se ne aggiunse ben presto una settima: la giovane moglie del Commissario Prefettizio quando comprende che anche il marito è destinato alla fucilazione, si ribella tentando di raggiungerlo ma viene rinchiusa a forza in casa dai militi. Morirà di lì a poco di crepacuore.
Da Albina, in angosciata e penosa attesa, si sentono le raffiche nel mezzo della mattina, e c’è chi oggi ricorda una colonna di fumo levarsi dal centro di Gaiarine. I fascisti hanno perquisito e dato alle fiamme la casa del maniscalco del paese, sospettandolo di aver ospitato partigiani.
I poveri corpi rimangono a terra per ore: devono esser visti, devono dare esempio.
000_0002È pomeriggio inoltrato quando una giovinetta di Albina, conducendo le pecore al pascolo della famiglia, incrocia il carro con il quale lo zio di una delle vittime riporta il suo doloroso carico ad Albina: tre giovanissime vite trucidate da una meschina, vigliacca, insensata, inutile vendetta. Morti sui quali l’insana follia fascista infierisce impedendone qualsiasi cerimonia funebre, e per questo condotti direttamente al camposanto, dove quasi nascostamente uno sgomento don Battista impartisce l’ultima benedizione prima di una frettolosa sepoltura. Sul muro dell’esecuzione in via San Liberale rimarrà per giorni una scritta che vuol essere monito solenne ma è solo disumana e falsa: “così muoiono i vigliacchi”.
Anche poco tempo prima così venne bollato un partigiano di passaggio, sorpreso da una pattuglia di nazisti e falciato nei campi mentre tentava una disperata fuga. Il “Mantova” veniva chiamato, probabilmente perché da lì veniva, e il suo corpo senza vita corredato da un cartello con la frase “così muoiono i vigliacchi” rimase per qualche giorno malamente appoggiato al muro della scuola di Albina.
Solo alla fine della guerra sarà tenuta una solenne messa in suffragio delle incolpevoli vittime di Albina e Gaiarine.
Sulla strage di Gaiarine viene aperta un’inchiesta i cui atti sono depositati presso l’Archivio del Tribunale di Treviso. Il procedimento a carico di Lorenzi, Testa, Galli e del Ten. Massi non si svolse mai in quanto tutti risultarono deceduti tra la fine di aprile e i primi di maggio 1945. Vennero raccolte comunque dai carabinieri importanti testimonianze da cui è stata tratta la ricostruzione dell’eccidio. I sottotenenti Lorenzi, Galli e Testa (che erano definiti “trio primavera”) furono fermati a un posto di blocco mentre rientravano a Bergamo e trasferiti alla cartiera di Mignagola dove furono passati per le armi.
In una deposizione rilasciata nel 1955 ai carabinieri di Codognè, un cittadino di Albina dichiarerà che il S.Ten Testa non è morto fucilato alla cartiera di Mignagola bensì è riuscito a sfuggire alla cattura e si è trasferito in Argentina.
Questo lo seppe da uno degli stessi giovani risparmiati dalla sorte quella disgraziata mattina del 6 aprile 1945, escluso dalla conta quand’era già al muro, che in Argentina dove era emigrato alla fine della guerra riconobbe anni dopo proprio il Testa. Fu un faccia a faccia inaspettato e doloroso, che recuperò alla memoria del giovane originario di Albina tutta quella dolorosissima vicenda.
In un recente libro scritto da Antonio Serena (ex MSI, ex Lega Nord ed ex Alleanza Nazionale espulso nel 2003 per aver diffuso un video-documentario in difesa di Erich Priebke), dal titolo “La cartiera della morte”, vengono citate delle testimonianze orali rilasciate all’autore (i testimoni vengono spesso citati solo per le iniziali) in cui si dice che i tre sottoufficiali siano stati torturati ed ammazzati nella notte tra il 4 e 5 maggio 1945.
Come possiamo credergli? È ben risaputo, ma anche ampiamente accertato e documentato, come siano stati numerosi i fascisti e i nazisti che trovarono rifugio e oblio nei paesi sudamericani. Negli ultimi anni si levano alti e ripetuti gli inviti alla pacificazione e al considerare i morti tutti uguali; doveroso, auspicabile e legittimo dopo molti anni, tanto preziosa e unica è la vita di ciascun essere umano.
Ma è compito del ricordo conservare e spiegare i motivi di quelle morti.
Non può essere la stessa cosa morire innocente e senza colpa per una rappresaglia, morire per riconquistare la libertà della propria terra, morire per garantire un futuro senza dittatori e tirannie ai propri figli.
25_aprile_2015Questo va sempre tenuto a mente e ricordato a quanti oggi rimpiangono un ventennio e un regime in cui i treni arrivavano in orario, dimenticandone sconcezze, crimini e atrocità.

Fonti:
•    http://www.pacipaciana.org/2009/07/19/gino-lorenzi-santo-o-criminale/
•    Antonio Serena, La cartiera della morte: Mignagola 1945, Mursia, 2009.
•    Federico Maistrello, Partigiani e nazifascismi nell’Opitergino (1944-1945), Cierre Edizioni, 2001
•    Mario Altarui, Treviso nella Resistenza, Edizioni Ca Spineda, 1975.
•    Archivio del Tribunale di Treviso, fascicolo istruttorio 125/1950.
•    Brunetta Ernesto; Galletti Giuliano, Storia di Gaiarine, Edizioni Canova, 2002
•    in corsivo brani raccolti dalle testimonianze di chi viveva al tempo dei fatti e, con la sua personale memoria, ancora oggi ricorda.

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