Un pensiero su “Domani 3 Ottobre Maurizio Pallante a Caneva

  1. Dopo aver ascoltato questa primavera Latouche a Udine, venerdì sera abbiamo avuto occasione e piacere di seguire l’incontro con Maurizio Pallante, in un ideale percorso che già aveva portato a Villa Frova Francuccio Gesualdi e Gianni Tamino.
    Di fronte ad una sala gremita (quasi duecento i presenti) Pallante ha parlato di decrescita e futuro.
    Molti gli spunti emersi dal suo discorrere stimolato dal moderatore, e numerosi anche gli interventi dalla sala, con domande e riflessioni attente e pertinenti, a volte perplesse e scettiche ma sempre curiose e propositive.
    E di questo ha ringraziato lo stesso Pallante, riconoscendo l’opportunità della discussione e del confronto.
    La decrescita teorizzata è selettiva, frutto quindi di una scelta, e non va confusa con la recessione che stiamo vivendo, dimostrazione di un sistema mercantile e capitalistico che sta frantumandosi e implodendo, trascinando nella sua rovina umanità e pianeta.
    Illuminante il suggerimento a superare la dicotomia capitalismo/socialismo, due facce della stessa sciagurata medaglia che persegue la crescita infinita e la produzione illimitata.
    Nella serata si è parlato del PIL, perverso indicatore economico per il quale un incidente stradale è positivo mentre un orto familiare è negativo, ma anche di grandi opere e civiltà contadina (contadina non impresa agricola!), di innovazione e di efficienza, informazione e pubblicità.
    Di come nei libri di economia non si parli di decrescita ma di crescita negativa, come se invece di indicare l’età di una persona anziana la si definisse gioventù negativa.
    Facendo anche esempi concreti: se invece di sostenere genericamente la domanda regalando dei soldi nel tentativo di rimettere in moto l’economia, o di finanziare grandi opere che servono solo a devastare il nostro paese e a far guadagnare soldi a chi le realizza, si fosse sostenuto la ristrutturazione energetica del patrimonio edilizio esistente, non solo si sarebbe rimessa in moto la produzione e si sarebbero creati molti posti di lavoro, ma questi posti di lavoro avrebbero risanato l’aria riducendo le emissioni di CO2 e si sarebbero pagati da sé con i risparmi economici che consentono di avere, senza accrescere il debito pubblico.
    Ma anche di come si stia sproloquiando da anni di ripartenza e di sviluppo e di crescita, previsioni da anni sopravvalutate e smentite; da sette anni si dichiara di vedere la luce in fondo al tunnel e quando i fatti regolarmente lo hanno smentito, con faccia tosta viene ripetuto che se l’economia non era ancora ripartita come previsto, sarebbe comunque ripartita nei mesi successivi.
    Affidando al pubblico la considerazione finale che il progresso non consiste nel produrre sempre di più, ma nel produrre bene, nella capacità di sviluppare tecnologie più evolute che ci consentono di accrescere l’efficienza dei processi produttivi, cioè di ridurre progressivamente il consumo di materie prime e l’impatto ambientale dei processi produttivi.
    Meno e meglio.
    Come si può gongolare inserendo nel PIL prostituzione, contrabbando e droga???
    «Non si può risolvere il problema con la stessa mentalità che l’ha generato. Se la causa ultima della crisi economica ed ecologica che l’umanità sta vivendo in questa fase storica è la finalizzazione dell’economia alla crescita, occorre capire innanzitutto come un processo oggettivamente vantaggioso, qual è l’aumento della produzione di beni atti a soddisfare i suoi bisogni esistenziali, si sia trasformato nella causa dei problemi più gravi che abbia mai dovuto affrontare. In secondo luogo occorre verificare se sia possibile costruire un’economia non finalizzata alla crescita e quali caratteristiche debba avere per attenuare i problemi causati dal sistema economico vigente senza rinunciare al benessere materiale che consente di ottenere.»
    E ancora:
    «Scegliere l’autoproduzione come scelata sovversiva nei confronti di un processo che a partire dalla rivoluzione industriale ha utilizzato un impressionante dispiegamento di strumenti di persuasione di massa per convincere, e quando non è bastato la coercizione e la violenza per costringere un numero sempre maggiore di esseri umani a inserirsi come produttori e consumatori di merci nell’economia della crescita».
    Concludendo:
    «La via d’uscita è trovare un modello economico alternativo alla crescita distruttiva della megamacchina industriale – basata su spreco, consumo esasperato di risorse e insufficienti indicatori di benessere quali si è rivelato essere il Pil – che non si deve inventare di sana pianta, ma si può ritrovare in quello fondato sulla collaborazione, la solidarietà, l’autosufficienza e l’economia del dono e dello scambio che governava i monasteri del primo e del secondo millennio. I quali offrono indicazioni utili da reinterpretare e adeguare ai tempi attuali per costruire nel terzo millennio nuovi monasteri in cui praticare relazioni umane fondate sulla solidarietà e forme di economia alternative finalizzate alla massima autosufficienza alimentare ed energetica possibile, non solo per consentire di vivere meglio a coloro che le adottano, ma anche con l’obiettivo di diventare un modello di riferimento per coloro che vivono con disagio crescente nelle società che hanno finalizzato le attività produttive e i rapporti sociali alla crescita della produzione e del consumo di merci».

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