Un pensiero su “Francenigocinema

  1. Un film questo che può cogliere di sorpresa chi, di un personaggio storico, conosce e giudica solo lo stereotipo rimandato dall’iconografia mediatica.
    E la sorpresa deriva nello scoprire che nel cuore di un rivoluzionario possono coesistere ideali di giustizia sociale, di fratellanza, di uguaglianza, di verità, di libertà.
    Ernesto ‘Che Guevara nel 1951 è ancora uno studente al quale mancano quattro esami per laurearsi in medicina. Il suo amico Alberto Granado lo convince ad effettuare un viaggio lungo il Sud America toccando stati come Argentina, Cile, Perù e Colombia. Un percorso di circa 12.000km che i due dovrebbero compiere in sella ad una vecchia moto Norton che Alberto ha soprannominato ‘la Poderosa’, un viaggio di iniziazione, di scoperta, di consapevolezza che tocca così profondamente nel cuore il giovane ‘Che’ da condizionare in seguito in maniera decisiva il resto della sua vita.
    Lungo il lungo tragitto incontrano popolazioni per la gran parte costituite da indios alla deriva, poveri contadini, umili ed indifesi, cacciati dai loro terreni, in condizioni spesso pietose poiché abbandonati a loro stessi o sfruttati da latifondisti e speculatori senza scrupoli, privi di qualsiasi protezione ed ammortizzatore sociale. Ernesto dimostra in tali frangenti di avere già il carattere di quel personaggio carismatico che diventerà in seguito: aperto e sensibile alle esigenze altrui, generoso come sanno esserlo solo pochi eletti, diretto e deciso sino a passare per indelicato, anche quando potrebbe essere invece più diplomatico.
    L’opera di Walter Salles è una continua altalena di momenti di grande impatto sociale con altri, magari conseguenti ad essi, nei quali la tensione si stempera e le farsesche traversie dei due protagonisti costituiscono la parte più scanzonata ed improvvisata del viaggio.
    Il paesaggio non è protagonista come ci si potrebbe aspettare da un road movie ambientato in Sud America, la fotografia non ha come intento principale quello di enfatizzare le meraviglie ambientali già clamorose di per sé ma di omaggiare le popolazioni che questa terra la abitano; la attraversano a piedi, carichi di sacchi, fino alle cime più inospitali; la coltivano senza ottenere molto in cambio; la amano incondizionatamente perché ne sono parte integrante. E’ uno sguardo antropocentrico sull’orgoglio ferito di questo popolo che si può riscattare solo attraverso il senso di appartenenza collettiva alla stessa terra. Non ci sono grandi divagazioni paesaggistiche, la figura umana rimane sempre presente nell’inquadratura. Non sono rari i campi lunghi sui piccoli villaggi nella cornice naturale, volti ancora a sottolineare l’armonia degli insediamenti umani nell’ambiente circostante. (Si veda il confronto efficace fra le splendide rovine inca sul Machu Picchu e l’orrore edilizio della capitale Lima).
    Alla conclusione del viaggio in Colombia i due protagonisti del lungo viaggio sono cambiati profondamente per quanto hanno hanno vissuto assieme. Nonostante alcuni sporadici riferimenti a ciò che Ernesto sarebbe divenuto in seguito, “I diari della motocicletta” riesce a non essere un film politico o esageratamente nostalgico, anzi, è la storia di una forte amicizia, un roadmovie che avrebbe potuto compiere chiunque attraverso Paesi meravigliosi. Un’avventura verso la libertà a cavallo di una “poderosa”, un racconto fatto di musica e di incontri lungo la strada.
    Incontri che per alcuni possono rimanere tali, ad altri invece possono cambiare la vita.

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