Semo a.. post! (40)

Castigat ridendo mores
che non significa il castigo per chi ride è la morte
come vorrebbero i tristi che si prendono troppo sul serio,
ma
correggere i (mal)costumi deridendoli !

INAUGURAZIONE MUNICIPIO
ovvero
Panem et circenses

Da Wikipedia, l’enciclopedia libera

Panem et circenses (letteralmente, Pane e corse dei cavalli) è una locuzione
in lingua latina molto conosciuta e spesso citata.
Era usata nella Roma antica.
Contrariamente a quanto generalmente ritenuto, questa frase non è frutto della fantasia popolare ma è da attribuirsi ad un autore specifico.
È stata scritta infatti dal poeta latino Giovenale:
(latino) « … duas tantum res anxius optat
panem et circenses »
(italiano) « … [il popolo] due sole cose ansiosamente desidera
pane e i giochi circensi »

Questo poeta fu un grande autore satirico: amava descrivere l’ambiente in cui viveva, in un’epoca nella quale chi governava si assicurava il consenso popolare con elargizioni economiche e con la concessione di svaghi a coloro che erano governati (in questo caso le corse dei carri tirati da cavalli che si svolgevano nei circhi come il Circo Massimo e il Circo di Massenzio).

Per estensione, la locuzione è stata successivamente usata, soprattutto in funzione critica, per definire l’azione politica di singoli o gruppi di potere volta ad attrarre e mantenere il consenso popolare mediante l’organizzazione di attività ludiche collettive, o ancor più specificatamente a distogliere l’attenzione dei cittadini dalla vita politica
in modo da lasciarla solo alle élite.

L’espressione Panem et Circenses rappresentava un meccanismo di potere influentissimo sul popolo romano, era la formula del benessere popolare e quindi politico;
un vero strumento in mano al potere per far cessare i malumori delle masse,
che con il tempo ebbero voce proprio nei luoghi dello spettacolo.

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8 pensieri su “Semo a.. post! (40)

  1. Sicuramente ammetto la mia forte e profonda ignoranza in campo politico amministrativo, ma non solo a livello locale e nazionale, anche a livello mondiale.
    Allo stesso modo non sono accecata dalla passione per gli attuali amministratori.
    Sinceramente credo che se una persona è veramente interessata alla vita politica del paese non sia l’abbuffata in piazza (forse la prima e l’ultima della storia) che la può distrarre.
    ….il mio ricordo di bambina di quando la prima volta fu “rifatta” la piazza di Gaiarine (all’epoca sindaco Antonioli) sono i commenti della gente: a cosa serve, non ce n’era bisogno, era meglio asfaltare le strade, ecc”.
    La Storia si ripete e come sempre non insegna nulla.

  2. Gentile Lara,non te la prendere, ma delle due l’una: o sei genuinamente ingenua perché inesperta delle mene politico-amministrative locali e nazionali, oppure sei accecata dalla passione per i Berluscones di turno.
    Ti pare che in questo difficile periodo la comunità di Gaiarine abbia proprio bisogno di demolire e rifare piazze in perfetto stato di conservazione o di bagni di folla a base di panzetton e spiedi per assecondare la “grandeur” del sindaco Sonego? Non sarebbe politicamente più corretto orientare le risorse umane e finanziarie pagate da noi cittadini per garantire servizi più puntuali ed efficienti a sostegno dellle persone, delle famiglie,delle imprese?
    Nulla da dire, se non complimenti, per la grande generosità con cui il volontariato ha risposto alla richiesta del sindaco di entrare a far parte del “ristorante di via Roma”, ma il “Grazie” no, non glielo dico, a me non hanno reso proprio nessun servizio, avendo io volutamente respinto l’invito a pranzo.
    Bella la favoletta del Re Travicello; sei un grande Roberto!
    F.to NO-FOODLESS

  3. tu quoque, lara ?!?!?!?
    ———————–
    Le Rane vogliono un re
    Jean de La Fontaine

    Già sazie le Rane di stare in repubblica,
    gracchiarono tanto, che Giove pensò
    di dare allo stato la forma monarchica,
    e un re tranquillissimo ad esse mandò.
    Ma tanto fu il chiasso ch’ei fe’ nel discendere,
    che scappan le Rane in preda al terror.
    Sott’acqua, nel fango, quegl’umidi sudditi
    non osano mettere il muso di fuor.
    Ma quel che un gigante dapprima credettero
    apparve più tardi un re travicel.
    Sentendo dell’acqua finito il subbuglio,
    or questa, ora quella, le rane, bel bel,
    due prima, poi quattro, tremando in principio,
    poi dieci si accostano a sua Maestà.
    Poi piglian coraggio, si fanno domestiche,
    e c’è qualche ardita, che in groppa gli va.
    Il re travicello, che adora i suoi comodi,
    non parla, non si agita, pacifico in sé.
    Allora i Ranocchi con Giove borbottano,
    ché vogliono un re, che faccia da re.
    Il re degli Dèi per tôrsi il fastidio,
    «Prendete» risponde, e manda la Gru,
    che becca, che stuzzica, che infilza, che storpia:
    resistere i sudditi non possono più.
    Ma Giove, gridando, pon fine agli strepiti:
    «Ognuno il governo che merita avrà.
    Un re non voleste leale e pacifico
    tenete la bestia che addosso vi sta».

  4. Rispondo a Roberto: dopo aver letto la tua risposta in testa per tutto il giorno mi frullava il nome di Dorian Gray……
    Sono andata spesso allo specchio per vedere se mi stava succedendo qualcosa di strano dopo essere scesa in piazza e aver condiviso una pietanza con i miei concittadini. Ho anche pensato e ripensato ma nessuno mi ha detto: “Io ti dò questo ma tu in cambio mi devi dare tanto”, non ho firmato un contratto con nessuno, nè tantomeno ho portato a casa “regali”.
    Ma ci mancherebbe anche che fosse sufficiente uno spiedo per portare a casa consensi!

    Ma davvero tu hai questa considerazione dei tuoi concittadini?
    Probabilmente qualcuno può essere rimasto particolarmente colpito da tanta “benevolenza” e pensare di ricambiare il favore, non dico di no, ma consideri tutti gli altri degli sprovveduti e degli allocchi?

    No, non posso crederlo. Credo invece che molto dipenda dal tuo ruolo in opposizione.
    Mi viene da chiedermi: se l’amministrazione avesse tagliato il nastro sprecando solo una bottiglia di vino, ne avresti elogiato la parsimoniosità e l’eleganza o l’avresti derisa per la mediocrità del gesto?
    E ancora: se la stessa manifestazione fosse stata organizzata da una amministrazione più in linea con il tuo orientamento politico l’avresti comunque disprezzata o avresti considerato che era cosa bella?

  5. Romani e galateo del banchetto
    Gli antichi romani invitati ad un banchetto indossano la vestis coenatoria o synthesis, una veste in lino colorato e leggero, fresca e piuttosto ampia in modo da garantire una certa libertà di movimento; ai piedi si calzano le soleae, sandali riservati all’uso domestico, costituiti da una suola particolarmente flessibile e confortevole e da sottili strisce di pelle da intrecciate sul dorso del piede e legate alla caviglia.
    E’ uso comune lavare le mani prima del pasto, ma spesso uno schiavo provvede anche a detergere con acqua profumata i piedi degli ospiti. Ai convitati è consentito anche portare commensali non invitati dal padrone di casa: costoro – designati con il nome di umbrae – sono sempre bene accetti, ma non possono prendere posto sul letto triclinare al pari degli altri ospiti e partecipano al banchetto accomodandosi su sedie e sedili (subsellia), come le donne e i bambini. Si mangia sdraiati poggiandosi al gomito sinistro e piluccando il cibo con la mano destra, in una posizione che oggi troveremmo scomodissima, ma che presenta un duplice vantaggio: permette di ingerire una quantità maggiore di cibo e consente ai convitati sazi oltre misura di assopirsi tra una portata e l’altra. Questa particolare postura rende però virtualmente impossibile il ricorso alle posate, che richiedono l’uso di entrambe le mani, ed infatti il loro numero è ridotto al minimo: i cibi arrivano già tagliati in piccoli pezzi da schiavi detti scissores, usanza che rende superflua la presenza in tavola del coltello, mentre le forchette non esistono, o meglio sono impiegate unicamente come arnese da cucina. Solo i cucchiai (ligulae o cochlearia) trovano una certa frequenza d’uso, impiegati per accogliere salse e farinate. Le pietanze sono presentate agli ospiti dai camerieri prima di essere deposte sul repositorium, dove rimangono a disposizione dei commensali; è dunque raccomandata una certa discrezione nel servirsi per non dar luogo a spiacevoli alterchi tra invitati.
    “Si evitino quanto possibile le liti e si procrastinino odiosi battibecchi, altrimenti è meglio tornarsene a casa!” si legge sui muri della Casa del Moralista a Pompei, e si tratta di una raccomandazione largamente condivisibile anche ai nostri tempi.
    Meno accettabile per noi contemporanei era l’emissione di “rutti” di gradimento alla fine dei pasti. Lo stesso imperatore Claudio emanò un editto in cui autorizzava tutti i convitati al banchetto ad emettere ogni tipo di rumore in assoluta libertà.
    “Assumi i cibi appena con la punta delle dita (mangiando ci vuole grazia), non sporcarti la faccia con le mani bisunte”. Queste le ulteriori raccomandazioni di Ovidio per le donne che desiderano rendersi attraenti e piacevoli; tuttavia chi proprio non riesce a non ungersi il volto può rimediare pulendosi con molliche di pane o con un apposito tovagliolo, che oltre a proteggere dalle macchie vesti e biancheria svolge anche un altro compito: alla fine della serata viene utilizzato per raccogliere, a mo’ di fagotto, gli avanzi della cena che gli ospiti portano a casa, secondo una consuetudine tranquillamente accettata. Né questo è l’unico cadeau che allieta i commensali: al momento del commiato il padrone di casa gratifica i suoi ospiti con apophoreta, cioè piccoli doni, come unguenti, olii ed essenze profumate, a ricordo del banchetto.

  6. ci ho pensato parecchio prima di rispondere, provando anche a far miei tutti i punti di vista.. ma con alcuni proprio non ci riesco!
    forse un refuso ha proposto “Sì, un grazie anche (d)all’amministrazione comunale che nulla avrebbe fatto senza”..
    certo, dal punto di vista della città il ringraziamento è doveroso verso chi si è prodigato perchè le giornate riuscissero, aldilà della convinzione politica, dell’opportunità etica, delle considerazioni morali del festeggiamento stesso..
    ma mi torna in mente il paradosso italiano per cui abbiamo la miglior protezione civile del mondo (a livello operativo naturalmente, lasciam perdere i lacchè bertolasi) ma le peggiori politiche di prevenzione ambientale del mondo..
    e allora?
    e allora, la gratitudine ai volontari e alla disponibilità manifestata dal volontariato ci può stare..
    ma la critica e la condanna agli amministratori rimane tutta, a maggior ragione pensando che sanno convocare la cittadinanza a tavola ma la ignorano quando chiede strade più sicure con centinaia di firme, o si dimostra più capace di redigere il menù di un banchetto piuttosto del bilancio annuale..
    ma se una volta si parlava di trenta denari oggi basta uno spiedo per comprarsi il consenso?

  7. Nonostante tutto, pur cercando di comprendere i vari punti di vista, credo che una cosa sia proprio mancata: un grazie.
    Sì, un grazie anche all’amministrazione comunale che nulla avrebbe fatto senza:
    un grazie agli Alpini, un grazie al comitato San Rocco, un grazie al club 3 molini, un grazie a chi col muletto ha passato la giornata a portare l’acqua, un grazie a chi ha allietato l’atmosfera con la bella musica, un grazie a chi ha cucinato, a chi ha distribuito, a chi ha pulito, un grazie a chi ha abbellito il paese di Gaiarine, un grazie ai negozianti, un grazie a chi ha “fatto” nonostante tutto senza pensare di essere “raggirato” ma solo con lo scopo di “offrire”, secondo il proprio modo di pensare, il proprio operato per qualcosa di bello.

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