Poche volte ho trovato in un’intervista (forse troppo lunga, me ne rendo conto, per un Post) così tanti spunti per riflettere sulle “cose del mondo” o più precisamente sulle “cose nostre”.
LA NONVIOLENZA OGGI IN ITALIA.
Rielaborazione dell’intervista di Paolo Arena e Marco Graziotti a Michele Boato
pubblicata sul quotidiano telematico “La nonviolenza in cammino” il 31 agosto 2010
D:Come e’ avvenuto il tuo accostamento alla nonviolenza?
R: Mi sono avvicinato alla nonviolenza dal 1972, quando, a 25 anni, ho cominciato a capire, durante un convegno nazionale semi-clandestino di Lotta Continua a Rimini, il suicidio umano e culturale della prospettiva della “guerra di popolo”, tipo Irlanda del Nord (Ira) o Paesi Baschi (Eta), che veniva proposta con sempre maggior insistenza da una buona parte del gruppo dirigente, forzando in senso insurrezionalista la lettura delle lotte di quegli anni (dai cortei della Fiat del ’69, alle barricate delle imprese d’appalto di Marghera del ’70, alle lotte dei carcerati e dei soldati, fino ai moti per Reggio Calabria capoluogo). Così Lotta Continua tendeva ad assumere (ma per fortuna si e’ sciolta prima) i connotati di un partitino leninista, gerarchizzato, con un “servizio d’ordine” numeroso ed aggressivo, tradendo l’ispirazione antiautoritaria (Rosa Luxemburg) con cui l’avevamo costruita, anche a Venezia e Marghera, nell’autunno del 1969.
D: Quali personalità della nonviolenza hanno contato di più per te, e perché?
R: Con Alex Langer ho avuto molte occasioni di collaborazione, prima in Lotta Continua, poi nei Cristiani per il Socialismo, infine nei Verdi: l’attenzione agli interlocutori (“amici” o “avversari”), la volontà di costruire ponti tra culture, società, gruppi diversi, la fiducia nella forza della verità, della denuncia, della proposta chiara anche se apparentemente impossibile: queste alcune delle caratteristiche che fanno di Alex un vero amico della nonviolenza.
Papa Giovanni, il “contadino” che sbaraglia le piccole macchinazioni della Curia romana dando voce alla base della chiesa dei cinque continenti, convocando il Concilio ecumenico Vaticano II: il colloquio con i carcerati di Roma, le parole chiare della Pacem in Terris, l’azione decisa e insieme diplomatica per impedire che la crisi dei missili a Cuba facessero di Kennedy e Krusciov gli assassini dell’intera umanità.
Il Cristo di “chi è senza peccato scagli la prima pietra”, di “è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago che un ricco entri nel regno dei cieli”, il Cristo di “porgi l’altra guancia” e quello che scaccia i mercanti dal tempio, salvo poi insegnare che per pregare non servono i templi.
Francesco d’Assisi che mostra con i fatti cosa significhi il messaggio evangelico e disarma anche i più violenti con la parola e la coerenza.
Don Lorenzo Milani che mi ha aperto il cervello sulla realtà delle guerre, con la sua Lettera ai cappellani militari.
Infine il Gandhi della marcia del sale, della disobbedienza nonviolenta di massa e dell’arcolaio dell’economia locale.
D: Quali libri consiglieresti di leggere a un giovane che si accostasse oggi alla nonviolenza? E quali libri sarebbe opportuno che a tal fine fossero presenti in ogni biblioteca pubblica e scolastica?
R: Alex Langer, Il viaggiatore leggero, Sellerio: il meglio dei messaggi di Alex, con frequenti riferimenti a Ivan Illich, Leonardo Sciascia, Adriano Sofri, Petra Kelly.
Mohandas K. Gandhi, Teoria e pratica della nonviolenza, Einaudi: antologia degli scritti più importanti con un’ottima introduzione di Giuliano Pontara, forse il miglior divulgatore di Gandhi.
Bernhard Haering – Valentino Salvoldi, Il Vangelo che ci guarisce. Dialoghi sulla nonviolenza. Edizioni Messaggero di Padova: dialogo-intervista al coraggioso moralista, precursore dei Beati i costruttori di pace.
Malalai Joya, Finche’ avrò voce, Piemme: La lotta di una giovane donna afgana contro i signori della guerra e l’oppressione delle donne afgane. Una visione straordinariamente chiara della criminalità di questa ennesima guerra.
D: Quali iniziative nonviolente in corso oggi nel mondo e in Italia ti sembrano particolarmente significative e degne di essere sostenute con più impegno?
R: Le moltissime iniziative di donne contro la guerra e le violenze in Afghanistan, in Kossovo-Serbia-Bosnia, in Iran, negli Stati Uniti, in Colombia, Cile e altri stati latinoamericani, in India e Pakistan.
La lotta No Tav piemontese. Le iniziative antinucleari di GreenPeace in tutto il mondo.
D: In quali campi ritieni più necessario ed urgente un impegno nonviolento?
R: Sia nella difesa dei diritti umani dove sono più calpestati, sia nella denuncia dell’inutile crudeltà delle guerre, sia anche nell’impedire l’autodistruzione ecologica della specie umana.
C’è ancora un bel pezzo di mondo che vive in assenza di democrazia, libertà e giustizia: comanda chi ha soldi ed armi.
C’è un altro pezzo, più esteso (anche nella nostra Italia), dove la democrazia c’è solo di nome, ma comandano bande di violenti (più o meno legalizzate) al soldo di padroni più o meno occulti.
Il cammino verso la libertà, la giustizia e la democrazia è lentissimo, pieno di soste e brusche retromarcie; non sarà mai terminato e ci sarà sempre qualcuno che vuole sopraffare gli altri.
L’impegno sociale e nonviolento tende a concentrarsi su questo orizzonte, a partire dalle peggiori situazioni di dittatura, mafia e guerra.
Ora però al problema della pacifica convivenza si aggiunge quello della pura e semplice sopravvivenza: ogni anno intere popolazioni sono decimate o rischiano la morte per carestie, mancanza d’acqua potabile, epidemie e sempre più frequenti disastri atmosferici.
Anche se per millenni gran parte della popolazione mondiale è vissuta in condizioni di schiavitù (o servitù della gleba o simili), mai nella storia dell’umanità si e’ verificata una emergenza sociale e sanitaria così estesa, con la migrazione di milioni di persone all’anno da situazioni di fame e miseria verso luoghi in cui c’è il miraggio della sopravvivenza.
Questa situazione ha diverse cause: lo sfruttamento di vastissime aree geografiche da parte di alcuni stati o società, più forti militarmente ed economicamente; un rapidissimo aumento della popolazione, specie nelle aree “deboli”; la desertificazione di zone sempre più vaste, provocata sia dai cambiamenti climatici che dalla distruzione delle foreste e dal colonialismo alimentare-monocolturale.
D: Quali centri, organizzazioni, campagne segnaleresti a un giovane che volesse entrare in contatto con la nonviolenza organizzata oggi in Italia?
R: Casa per la nonviolenza di Verona, Casa per la pace di Vicenza, Mir di Brescia, Centro Regis di Torino, Casa per la pace di Firenze, Beati i costruttori di pace di Padova, Ecoistituto del Veneto di Mestre, Centro di ricerca per la pace di Viterbo.
Campagne: Acqua bene comune, Non abbiamo bisogno del nucleare, No alle basi Usa in Italia: Aviano, Vicenza, Ghedi e le altre.
D: Come definiresti la nonviolenza, e quali sono le sue caratteristiche fondamentali?
R: Lotta per la giustizia e una società sobria, con la forza della verità, la coerenza personale, la solidarietà e il coraggio di non cedere a opportunismi e settarismi.
D: Quali rapporti vedi tra nonviolenza e femminismo?
R: Il femminismo è una delle incarnazione della nonviolenza, particolarmente importante non solo nei paesi in cui le donne non godono di alcun diritto, in Asia e in Africa, ma anche in tutto il resto del mondo, Italia compresa.
D: Quali rapporti vedi tra nonviolenza ed ecologia?
R: Ecologia e nonviolenza sono sorelle siamesi: l’una non può vivere senza l’altra.
Un’ecologia dirigista, che si basa solo su leggi e divieti, non ha alcun futuro: il pianeta (anzi, la specie umana) può avere un futuro solo se un nuovo stile di vita, sobria e solidale, si afferma, con la forza della verità, nelle menti e nei cuori delle popolazioni, “ricche” e “povere”.
Ma anche una visione nonviolenta che si limiti all’antimilitarismo non ha futuro: non basta che cessino le guerre aperte per realizzare una società più giusta e un mondo dove non si debba morire di siccità e di fame.
D: Quali rapporti vedi tra nonviolenza, impegno antirazzista e lotta per il riconoscimento dei diritti umani di tutti gli esseri umani?
R: Come il femminismo e l’ecologia, anche la lotta per i diritti umani è una incarnazione della nonviolenza, che in una grande parte di aree del pianeta (dal Tibet alla Cecenia, dall’Iran alla Palestina e l’Afghanistan) assume addirittura la massima priorità. In Italia l’impegno antirazzista assume grande rilevanza in questi anni di sbornia anti-immigrati.
D: Quali rapporti vedi tra nonviolenza e lotta antimafia?
R: Nonviolenza significa anche democrazia e giustizia: esse sono calpestate, derise, annullate dall’imperversare di bande mafiose, armate e violente, in larghe aree dell’Italia (e non solo: basta pensare all’Albania, alla Moldavia alla Russia).
D: Quali rapporti vedi tra nonviolenza e lotte del movimento dei lavoratori e delle classi sociali sfruttate ed oppresse?
R: Lo sciopero, a partire dall’Aventino della plebe romana contro i privilegi dei patrizi, è una delle più importanti tecniche nonviolente; forse però i sindacati non ne hanno molta consapevolezza e non è raro, nei picchetti o nelle assemblee operaie, sentire irridere la nonviolenza.
D: Quali rapporti vedi tra nonviolenza e lotte di liberazione dei popoli oppressi?
R: Troppe volte viene teorizzata ed utilizzata la violenza, con giustificazioni che si rivelano sempre più inconsistenti. Questo ha indebolito per decenni la giusta lotta del popolo Palestinese, di quello Basco, della popolazione dell’Irlanda del nord, del Messsico (Chiapas), di Kossovo e Bosnia. Gli esempi delle Filippine di Cory Aquino, della Polonia di Solidarnosc, dell’India di Gandhi, dei neri di Martin Luther King nel Sud degli Usa, della caduta del muro di Berlino mostrano la strada. Quella che perseguono Malalai Joya in Afganistan, Aung San Suu Kyi in Birmania, il Dalai Lama del Tibet, che ha perseguito Rugova in Kossovo.
D: Quali rapporti vedi tra nonviolenza e pacifismo?
R: La nonviolenza comprende anche il vero pacifismo, quello che lotta per la pace senza doppi fini e senza compromessi. Ma non si esaurisce in esso: c’è una visione nonviolenta dell’economia (il microcredito di Muhammad Yunus ne è un esempio), della scuola (Maria Montessori ne è stata una maestra), della medicina ecc.
D: Quali rapporti vedi tra nonviolenza e antimilitarismo?
R: Il nonviolento è assolutamente antimilitarista, ma non tutti gli antimilitaristi sono nonviolenti: in certi cortei contro la guerra dell’Iraq mi vergognavo di tanti slogan truculenti gridati a squarciagola e ossessivamente.
D: Quali rapporti vedi tra nonviolenza e disarmo?
R: Il Costarica dimostra, nonostante si trovi in una zona piena di conflitti, che il disarmo, non solo nucleare, ma proprio l’abolizione dell’esercito non è una pia illusione.
D: Quali rapporti vedi tra nonviolenza e diritto alla salute e all’assistenza?
R: Anche nella difesa della salute valgono i principi nonviolenti della verità, giustizia, minima sofferenza. Quindi rapporti corretti tra malati e medici o sanitari, decisioni chiare e condivise, prevenzione prima che cura, accesso ugualitario alle cure, cure il più possibile naturali e reversibili.
D: Quali rapporti vedi tra nonviolenza e psicoterapie?
R: Ancora più importanti sono i principi nonviolenti nella cura della mente, dove nei secoli si sono viste le peggiori pratiche, dal ripudio all’esorcismo, dalla caccia alle streghe agli elettrochoc, dall’imprigionamento alle sevizie e violenze quotidiane. La lotta di Franco Basaglia e di tanti suoi amici e collaboratori è stata una delle più importanti esperienze nonviolente a livello mondiale: va difesa e sviluppata perché, a trenta anni dalla sua morte, la scienza ufficiale spinge per tornare alle pratiche violente da lui fatte abolire.
D: Quali rapporti vedi tra nonviolenza e informazione?
R: Se nonviolenza è la forza della verità, è fondamentale poter comunicare le denuncie e proposte ai soggetti che debbono liberarsi dalle catene. I mezzi di comunicazione di massa sono importanti, ma spesso non sono liberi di dire la verità, dipendono da chi deve mantenere la popolazione nell’ignoranza per poter fare meglio affari non sempre puliti. Quindi vanno usati senza però farne l’unico strumento di comunicazione.
La nonviolenza crea suoi canali diretti, le reti di persone, le riviste, le radio libere, i siti internet, le mailing list. Questi canali vanno gestiti con molta cura, devono essere il più possibili aperti alla partecipazione popolare, mantenendo però stretta vigilanza su possibili abusi e strumentalizzazioni di persone o gruppi ostili alla nonviolenza.
D: Cosa apporta la nonviolenza alla riflessione filosofica?
R: C’e’ un filone nonviolento, nella storia della filosofia, che collega Socrate, Seneca, Cristo, Agostino, Hildegarda di Bingen, per arrivare fino a Kant, Schopenhauer, Kierkegaard. Tolstoi, Hannah Arendt, Teilhard de Chardin.
D: Cosa apporta la nonviolenza alla riflessione delle e sulle religioni?
R: Cristianesimo e Buddismo sono intrisi della nonviolenza dei loro fondatori, Cristo e Siddartha, anche se il Buddismo l’ha conservata molto più accuratamente, mentre il Cristianesimo è stato, ed è ancora, infettato ripetutamente da militarismo, corruzione, ragion di stato, imperialismo, razzismo e maschilismo.
Confucianesimo, Induismo, Ebraismo ed Islam hanno avuto, ed hanno tuttora, rapporti alterni con la nonviolenza, corsi e ricorsi, diverse interpretazioni fino alle strumentalizzazioni di stile talebano dell’Islam in Afghanistan, Iran, Arabia e Pakistan, e di stile fondamentalista dell’Ebraismo in Israele.
D: Cosa apporta la nonviolenza alla riflessione sull’educazione?
R: Steiner e Montessori (solo per citare i più noti) sono espressione di una crescente influenza della nonviolenza nella pedagogia occidentale; il Dalai Lama è un esempio della diffusissima pedagogia nonviolenta nel mondo orientale.
D: Cosa apporta la nonviolenza alla riflessione sull’economia?
R: Le riflessioni del premio Nobel indiano Amartya Sen sulla necessità della democrazia per un vero sviluppo sono abbastanza significative. Molto più importanti le esperienze concrete e le relative teorizzazioni del Nobel bengalese Muhammad Yunus sul microcredito e la capacità di riscatto di milioni di “poveri” che si uniscano e trovino la forza di liberarsi dal cappio, non solo economico, degli strozzini.
D: Cosa apporta la nonviolenza alla riflessione sul diritto e le leggi?
R: L’importanza del diritto alla disobbedienza alle leggi ritenute ingiuste, fortemente rivendicato, anche con una breve prigionia, da Thoreau autore del fondamentale “La disobbedienza civile”, per non parlare di Gandhi e di don Milani che con la sua “L’obbedienza non e’ più una virtù” ha illuminato le menti di migliaia di persone, non solo italiane.
D: Cosa apporta la nonviolenza alla riflessione sull’etica e sulla bioetica?
R: Il valore assoluto della vita umana, nel comandamento “tu non uccidere”. Ma anche il valore della vita animale, i diritti degli altri animali, l’abominio dell’ucciderli per divertimento o per “sport”, come nella caccia moderna, la proposta vegetariana e, comunque, l’eliminazione di ogni sofferenza evitabile.
D: Cosa apporta la nonviolenza alla riflessione sulla scienza e la tecnologia?
R: La non neutralità ne’ della scienza ne’, tantomeno, delle sue applicazioni pratiche. L’autocritica di Albert Einstein circa la fissione nucleare e i suoi immediati utilizzi militari è il momento più alto di questa riflessione, che ha poi avuto nel filosofo inglese Bertrand Russell una compiuta teorizzazione.
D: Cosa apporta la nonviolenza alla riflessione storica e alla pratica storiografica?
R: Un forte ridimensionamento dell’esaltazione acritica della rivoluzione francese e di tutte le altre azioni militari (da Cesare a Alessandro Magno, fino a Napoleone, alla rivoluzione russa e alle guerre mondiali) che riempiono i libri di storia, fatti studiare ai ragazzi di tutto il mondo. Parallelamente una valorizzazione delle iniziative sia individuali che di massa che hanno portato a cambiamenti sociali importanti senza alcun uso di violenza: dalla regina d’Egitto Hatshepsut alla democrazia ateniese, dall’Aventino al martirio di Cristo, dai primi obiettori cristiani al servizio militare romano all’incontro di Francesco col sultano (sempre che non si tratti di un falso storico, come una recente storiografia propone), e poi la cooperazione operaia e gli scioperi dell’800, la diserzione di massa durante la prima guerra mondiale, i movimenti gandhiani, fino a Solidarnosc, il ’68 in occidente e all’est, la caduta del muro di Berlino e dell’impero sovietico, il Costarica, le Filippine, il Kossovo di Rugova, il Tibet e la Birmania di Aung San Suu Ky e dei giovani monaci buddisti.
D: Tra le tecniche deliberative nonviolente ha gran importanza il metodo del consenso: come lo caratterizzeresti?
R: Di fronte a decisioni delicate e impegnative, non si può affidarsi al gioco delle maggioranza; serve una discussione che approfondisca le ragioni, anche molto diverse, di tutti gli interessati, e punti a raggiungere una decisione che non escluda alcuna buona ragione, ma solo le proposte incompatibili con i principi della nonviolenza.
D: Tra le tecniche nonviolente nella gestione e risoluzione dei conflitti quali ritieni più importanti?
R: Annunciare pubblicamente le proprie ragioni, intenzioni e iniziative, in modo da rendere più difficile la reazione violenta basata sulla (dichiarata) paura di violenze, atti terroristici o sabotaggi.
D: Come caratterizzeresti la formazione alla nonviolenza e l’addestramento all’azione nonviolenta?
R: Per la formazione serve una forte conoscenza storica dei movimenti e delle lotte nonviolente e dei principi etici che li sostengono, associata a esercitazioni pratiche il più realistiche possibili e, poi, inserimento in programmi concreti a carattere locale su razzismo, maschilismo, bullismo, disinformazione, inquinamento, violenza verso pedoni e ciclisti, oppure verso animali o alberi.
D: Quali mezzi d’informazione e quali esperienze editoriali ti sembra che più adeguatamente contribuiscano a far conoscere o a promuovere la nonviolenza?
R: Nel Veneto operano una serie di radio libere molto legate alla nonviolenza: Radio Cooperativa (legata ai Beati i costruttori di pace di don Albino Bizzotto), Radio Gamma 5, ispiratrice di decine di iniziative soprattutto ecologiste e antirazziste, Radio Base popolare di Mestre e Radio Popolare di Verona.
Poi c’è MultiMedia Record, un gruppo guidato dal giornalista Marco Massimo Rossi che produce, in strettissimo contatto con i comitati e le associazioni locali, molti materiali televisivi che vanno sia su Internet che nelle reti televisive locali che li accettano.
Ci sono poi le due riviste che sono legate all’Ecoistituto del Veneto “Alex Langer”: “Gaia. Ecologia, nonviolenza, tecnologie appropriate” (trimestrale a carattere nazionale) e “Tera e Aqua” (bimestrale a carattere regionale), in cui sono impegnato quasi a tempo pieno.
A livello nazionale, oltre ad “Azione nonviolenta” diretta da Mao Valpiana, c’è “QualeVita“, ottimo periodico abruzzese diretto da Pasquale Jannamorelli, “Natura oggi“, mensile di Pro Natura piemontese, in stretta collaborazione col Centro Sereno Regis diretto da Nanni Salio e “AAM – Terra Nuova” che tratta soprattutto di alimentazione e della salute. Poi c’è il quotidiano telematico “La nonviolenza e’ in cammino” curato da Peppe Sini.
D: Quali esperienze in ambito scolastico ed universitario ti sembra che più adeguatamente contribuiscano a far conoscere o a promuovere la nonviolenza?
R: I corsi tenuti da Alberto L’Abate a Ferrara e poi a Firenze, con Lorenzo Porta, Fulvio Manara a Bergamo, Nanni Salio a Torino, Tonino Drago a Pisa, Giuliana Martirani a Napoli, Enrico Euli a Cagliari.
D: I movimenti nonviolenti presenti in Italia danno un’impressione di marginalità, ininfluenza, inadeguatezza. Come potrebbero migliorare qualità, percezione ed efficacia?R: Affrontando i temi più scottanti con proposte forti, precise e coordinate in tutta Italia, come fece Marco Pannella con le marce antimilitariste a favore dell’obiezione di coscienza negli anni ’70 e col divorzio qualche anno dopo; come ha fatto Alex Langer negli anni ’80 sui temi della guerra nella ex-Jugoslavia, come fa don Luigi Ciotti sul tema della mafia con le cooperative di Libera. Ora e’ il momento dell‘opposizione al nucleare e delle alternative rinnovabili.
D: I movimenti nonviolenti dovrebbero dotarsi di migliori forme di coordinamento?
R: A rete, come aveva iniziato bene Lilliput, perdendosi poi in burocratismi, non allargandosi, ma chiudendosi.
Soprattutto però una rete funziona se ha degli obiettivi comuni, con scadenze e iniziative coordinate, come ha dimostrato la recente ottima riuscita della raccolta firme per i referendum contro la privatizzazione dell’acqua.
D: I movimenti nonviolenti dovrebbero dotarsi di ulteriori strumenti di comunicazione?
R: Serve un forte coordinamento e potenziamento della presenza su Internet: è uno strumento che può dare grande spazio alla democrazia, all’informazione pulita, alla costruzione delle reti locali e planetarie.
D: Nonviolenza e movimenti sociali: quali rapporti?
R: Nonviolenza non é solo antimilitarismo, ma lotta per la giustizia e i diritti umani.
D: Nonviolenza e istituzioni: quali rapporti?
R: Aldo Capitini, dopo aver combattuto la dittatura fascista, era però, giustamente, scettico verso i partiti e la sola democrazia rappresentativa: proponeva il potere di tutti, da lui battezzato Omnicrazia. Si tratta della democrazia diretta, che da’ voce e potere a tutti. Nella nostra Costituzione invece c’è solo il referendum abrogativo e, solo in una parte dei Comuni, i referendum locali consultivi. Occorre invece guardare, in termini creativi, alle esperienze dei cantoni e delle città svizzere, e, più recentemente, di molti Stati del Nord America, della Baviera e ora anche di molte città sudamericane, dove la partecipazione popolare è stimolata ed organizzata con periodici referendum decisionali, senza quorum, o con quorum del 20-30%.
Finora in Italia questo tema ha sfondato in una decina di comuni dell’Alto Adige – Sud Tirol.Qualche successo hanno avuto in alcune piccole città delle liste civiche che fanno della vera partecipazione il loro tema e strumento principale. Molto meno trasparenti le iniziative dei seguaci di Grillo, appunto perchè sostanzialmente dirette e condizionate dal capo genovese e, soprattutto, dal suo apparato milanese.
D: Nonviolenza e cultura: quali rapporti?
R: Scrittori come Pier Paolo Pasolini, poeti come David Maria Turoldo, attori come il Benigni di “La vita è bella” o il Ben Kingsley del film “Gandhi” hanno una forza di penetrazione nella formazione di milioni di persone.
D: Nonviolenza e forze politiche: quali rapporti?
R: In Italia il riferimento di alcune forze politiche (Radicali, Verdi e poi anche Rifondazione comunista) alla nonviolenza non è mai stato molto convincente; troppi compromessi, soprattutto sulle guerre in Bosnia, Iraq e Afghanistan.
D: Nonviolenza e organizzazioni sindacali: quali rapporti?
R: I sindacati spesso non sono consapevoli della natura profondamente nonviolenta dello sciopero come non-collaborazione, e in generale della loro missione di difesa dei diritti non solo economici di larga parte della popolazione.
D: Nonviolenza e pratiche artistiche: quali rapporti?
R: Come la poesia, la letteratura (Tolstoi per tutti) e i film, anche le altre arti, dalla pittura alla scultura, dalla musica al teatro, alla danza, alla fotografia, possono essere eccezionali veicoli del messaggio nonviolento: basta ricordare le foto dei bambini vietnamiti durante i bombardamenti, una canzone come Imagine di John Lennon o un quadro come Guernica di Picasso.
D: Nonviolenza e amicizia: quale relazione? E come concretamente nella tua esperienza essa si è data?
R: Decine di iniziative delicate (denunce di soprusi o di scempi ambientali, proposte azzardate a personaggi influenti ecc.) non avrei potuto condurle a termine senza l’aiuto di persone sinceramente amiche, che si sono spese, spesso rischiando grosso, in nome di un comune sentire, ma soprattutto di una comune amicizia.
D: Nonviolenza e percezione dell’unità dell’umanità: quale relazione?
R: Come si può essere nonviolenti se non si crede nell’assoluta uguaglianza di diritti di tutte le persone, senza differenze di razza, sesso, età o idee politiche e religiose? Non c’e’ forse nulla di più antitetico alla nonviolenza del razzismo nelle sue varie forme.
D: Nonviolenza e politica: quale relazione?
R: Politica significa interessarsi della polis, del bene comune della città e dei suoi abitanti. Un nonviolento non può che fare anche politica, ma puntando alla vera democrazia, al potere di tutti, non dei “nostri”.
D: Nonviolenza e vita quotidiana: quale relazione?
R: E’ forse la prova più difficile, passare dalla teoria ai fatti 24 ore su 24. In casa con coniuge e figli, sul lavoro con colleghi, superiori ed eventuali subalterni (o con gli studenti per un insegnante, come nel mio caso). Debbo dire che nei miei vent’anni di insegnamento alle superiori, avere rapporti di rispetto e paritari con gli studenti mi è stato facilissimo e mi ha procurato quasi solo enormi soddisfazioni, pochissimi inconvenienti con qualche collega e preside.
D: Nonviolenza e cura del territorio in cui si vive: quale relazione?
R: E’ dal lontano 1969 il mio impegno principale: sento la violenza a Gaia, nostra madre terra, come fatta a me stesso. E di fatto e’ così, anche se i più ancora non ne sono pienamente coscienti. Il territorio è l’aria che respiriamo, che manteniamo più pulita se, con gli Amici della bicicletta, riduciamo il traffico automobilistico; sono gli alberi che ci regalano l’ossigeno, che difendiamo con tutti i mezzi con l’associazione AmicoAlbero; è l’acqua che beviamo e che scorre in laguna e nel mare, che cerchiamo di mantenere pulita con Medicina Democratica, l’Ecoistituto ecc. ecc.
D: Nonviolenza e cura delle persone con cui si vive: quale relazione?
R: Alla fine le cose che contano di più nella vita sono proprio i rapporti con le persone vicine: le rotture traumatiche sono la prima causa delle malattie depressive e dei suicidi. Imparare a convivere anche nei momenti difficili, non alzare i toni, non usare parole pesanti è talvolta difficile, ma ti può salvare la vita.
D: La nonviolenza dinanzi alla morte: quali riflessioni?
R: Non c’è solo il “tu non uccidere”, ma anche il dovere di accompagnare le persone all’ultimo passaggio, in modo da alleviarne al massimo il dolore.
D: Quali le maggiori esperienze storiche della nonviolenza?
R: Lo sciopero della plebe romana sull’Aventino, la marcia del sale gandhiana, il boicottaggio nero degli autobus di Montgomery con Martin Luther King, Solidarnos polacca, la rivoluzione filippina di Cory Aquino.
D: Quale e’ lo stato della nonviolenza oggi nel mondo?
R: Moltissime ottime esperienze locali, senza un comune orizzonte ne’ punto di riferimento e tradite dal bluff di Obama.
D: Quale è lo stato della nonviolenza oggi in Italia?
R: La partecipazione dell’Italia a guerre in sfregio alla Costituzione, la presenza ancora nel nostro suolo di basi militari, anche nucleari, straniere e il loro rafforzamento a Vicenza, con l’aperto appoggio di governi sia di destra che di “sinistra”; il diffondersi di cultura e iniziative razziste nel Nord e mafiose soprattutto nel Sud, la dice lunga sul deficit di coscienza e di iniziativa di massa in Italia.
D: E’ adeguato il rapporto tra movimenti nonviolenti italiani e movimenti di altri paesi? R: Assolutamente inadeguato, casuale, inefficiente.
D: Quale ti sembra che sia la percezione diffusa della nonviolenza oggi in Italia?
R: A livello di massa non se ne conosce quasi la parola.
D: Quali iniziative intraprendere perché vi sia da parte dell’opinione pubblica una conoscenza adeguata della nonviolenza?
R: Lotta alla presenza italiana in Afghanistan, lotta al razzismo, lotta alla mafia, piano nazionale solare contro il ritorno al nucleare “civile” e militare.
D: Nonviolenza, linguaggio e stili di vita: quale relazione?
R: Un linguaggio nonviolento è parte fondante di uno stile di vita e di ogni iniziativa nonviolenta.
Uno stile di vita sobrio è essenziale per dare credibilità alla proposta teorica nonviolenta.
D: Nonviolenza e critica dell’industrialismo: quali implicazioni?
R: La proposta gandhiana e nonviolenta non si limita all’antimilitarismo, ai diritti umani, al diritto all’indipendenza delle nazioni: va al cuore del modello economico e sociale, propone la produzione e il consumo locale-regionale, l’artigianato, l’agricoltura biologica, la cooperazione e la sobrietà.
D: Nonviolenza e rispetto per i viventi, la biosfera, la “madre terra”: quali implicazioni?
R: Ecologia e nonviolenza sono, sempre di più , un tutt’uno, sia a livello locale che planetario: non c’è distinzione tra la violenza fatta ad un essere umano e quella fatta alla natura.
D: Nonviolenza, compresenza, convivenza, scelte di vita comunitarie: quali conseguenze?
R: Il villaggio gandhiano non è una esperienza trasportabile tal quale nel resto del mondo, ma se ne può trarre ispirazione: nelle nostre città la proposta mi pare quella del distretto di economia locale, una rete di reciproco sostegno non solo economico che può creare dei “villaggi” virtuali, nell’ambito di ambienti urbani di grandi dimensioni, tendenzialmente anonimi e aggressivi.
D: Nonviolenza, riconoscimento dell’altro, principio responsabilità, scelte di giustizia, misericordia: quali conseguenze?
R: Nonviolenza non è solo attività politica e collettiva, ma anche rapporti interpersonali paritari, solidali, rilassati e tendenti all’amicizia.
D: Nonviolenza e coscienza del limite: quali implicazioni?
R: La proposta della sobrietà sia negli stili di vita individuali che in quelli sociali deriva dalla coscienza che abbiamo superato di molto il limite di sopportazione della terra, consumiamo le risorse rinnovabili di un anno nei primi otto mesi scarsi dell’anno, stiamo rubando le risorse e la vita stessa alle prossime generazioni: tutto ciò è una enorme violenza verso Gaia e verso i nostri discendenti.
D: Nonviolenza come cammino: in quale direzione?
R: Cerchiamo di camminare verso società più giuste sia nei rapporti umani che in quelli planetari.
D: Potresti presentare la tua stessa persona a un lettore che non ti conoscesse affatto?
R: Il mio impegno principale e’ in campo ecologico, sul piano locale (veneziano e veneto) e nazionale (riduzione dei rifiuti, risparmio ed energie rinnovabili). Dal 1973 al 2006 ho insegnato economia alle superiori, con un intervallo di 12 anni in Regione Veneto (consigliere e, per 2 anni, assessore all’ambiente, urbanistica, viabilità e lavori pubblici) e un anno e mezzo deputato (1987-’88, poi dimissioni per rotazione).
Michele Boato nato nel 1947, docente di economia, impegnato contro la nocività dell’industria chimica dalla fine degli anni ’60, da sempre nei movimenti pacifisti, ecologisti, nonviolenti. Animatore di numerose esperienze didattiche e di impegno civile, direttore della storica rivista “Smog e dintorni”, impegnato nell’Ecoistituto del Veneto “Alexander Langer”, animatore del trimestrale “Gaia” e del foglio locale “Tera e Aqua”. Ha promosso la prima Universita’ Verde in Italia. Parlamentare nel 1987 (e dimessosi per rotazione un anno dopo), ha promosso e fatto votare importanti leggi contro l’inquinamento. Con significative campagne nonviolente ottiene la pedonalizzazione del centro storico di Mestre, contrasta i fanghi industriali di Marghera. E’ impegnato nella campagna “Meno rifiuti”. E’ stato anche presidente della FederConsumatori e apprezzato assessore regionale del Veneto. Con Mao Valpiana e Maria G. Di Rienzo ha promosso l’appello “Crisi politica. Cosa possiamo fare come donne e uomini ecologisti e amici della nonviolenza?” da cui è scaturita l’assemblea di Bologna del 2 marzo 2008 e quindi il manifesto “Una rete di donne e uomini per l’ecologia, il femminismo e la nonviolenza”. E’ una delle figure più significative dell’impegno ecopacifista e nonviolento, che ha saputo unire ampiezza di analisi e concretezza di risultati, ed un costante atteggiamento di attenzione alle persone rispettandone e valorizzandone dignità e sensibilità. Ha curato diverse pubblicazioni soprattutto in forma di strumenti di lavoro: Conserva la carta, puoi salvare un albero; Ecologia a scuola; Dopo Chernobyl; Adriatico, una catastrofe annunciata; tutti nei “libri verdi”, Mestre; nella collana “Tam tam libri” ha curato: Invece della tv rinverdire la scuola; Erre magica: riparare riusare riciclare; In laguna; Verdi tra governo e opposizione (con Giovanna Ricoveri). Un’ampia intervista a Michele Boato curata da Diana Napoli è apparsa nei n. 157-158 di “Voci e volti della nonviolenza”.
Paolo Arena ( paoloarena@fastwebnet.it) e Marco Graziotti (graziottimarco@gmail.com) fanno parte della redazione di “Viterbo oltre il muro. Spazio di informazione nonviolenta”, un’esperienza nata dagli incontri di formazione nonviolenta che si svolgono settimanalmente a Viterbo.